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Splendidi, George e Catherine

Bello, bravo, divertente, simpatico… Come dire, George Clooney. Si sussurra che il suo film, meglio quello dei fratelli Coen con Catherine Zeta-Jones, sia uno dei migliori visti al Lido. Peccato che sia fuori concorso. Trattasi di una commedia rosa velata di nero. Intolerable Cruelty, con l’orribile titolo italiano di Prima ti sposo, poi ti rovino, segna i il ritorno della premiata ditta Coen alla commedia, alla risata e alla satira di costume, in questo caso la presa in giro di certa Hollywood. Delle donne avide, degli uomini senza scrupoli… Lui, Clooney, è un notissimo avvocato divorzista. Lei, Catherine Zeta-Jones, è una splendida divorzianda. Lei si è fatta sposare perché il marito è straricco. Poi astutamente chiede il divorzio, dopo aver beccato il marito in flagrante tradimento. Ma non ha fatto i conti con l’avvocato. Che poi, a divorzio ottenuto, riuscirà a porterà sull’altare. Per poi spennarlo… Bravissimo Clooney, bellissima Catherine. Trama forse un tantino esile e improbabile, ma l’importante è che ci si diverte. Grande ritmo, buone battute, persino romantico. Il fascinoso pediatra di E.R. gigioneggia davanti all’universo mondo (femminile…) incantato al Lido: dice che il suo attore preferito è Spencer Tracy, anche se lo accostano al Cary Grant brillante; preferisce non ricordare il periodo in cui dall’avvocato divorzista ci andò lui; glissa sul significato dlel’amore («Sono contento che Catherine sia innamorata…»), anticipa che sta per cominciare a girare il seguito di Ocean Eleven, oltre a una serie tv sul potere a Washington; sta al gioco quando una giornalista in conferenza stampa, armata di velo e finto prete, gli chiede di sposarla. Spiega poi che gli è piaciuto tornare sul set con i fratelli Coen, dopo Fratello dove sei?: «È una garanzia, loro non hanno mai fato un brutto film». Ma aggiunge che il suo sodalizio artistico è con Soderbergh. E via così…
Nel giorno in cui i due belli di Hollywood catalizzano l’attenzione del mondo cinematografico (e in attesa dell’ultimo divo, Sean Penn, che sbarcherà al Lido oggi), da segnalare anche il Federico Fellini televisivo con un collage di Tatti Sanguinetti che ha ritagliato quelle scene di Ginger e Fred in cui i protagonisti giravano finti spot per la tv. Sanguinetti polemizza con la Mostra perché, secondo lui, La tivù di Fellini non ha avuto adeguato spazio.
E veniamo a un altro film italiano, l’ultimo in concorso, molto atteso: Buongiorno notte di Marco Bellocchio è stato accolto da lunghi e ripetuti applausi al finale e durante i titoli di coda per l’anteprima stampa. La pellicola, tratta dal libro Il prigioniero, scritto da Anna Laura Traghetti, racconta i due mesi di prigionia di Aldo Moro, allora presidente della Democrazia Cristiana, attraverso gli occhi di Chiara, interpretata dall’ottima Maya Sansa. La brigatista è l’unica tra i suoi compagni (Luigi Lo Cascio, Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno) a mantenere un contatto con il mondo esterno: conserva il suo lavoro d’impiegata e si rende conto che un intero Paese rimane inerme di fronte a una tragedia. Voterà contro la decisione di giustiziare Moro. La grande dote del film è quella di non cadere nelle teorie di complotti politici, che avevano caratterizzato la precedente filmografia. Parla soprattutto degli uomini. Uomini e donne che scelsero di essere terroristi. Dal 16 marzo al 9 giugno 1978, furono 55 giorni di oscurantismo civile e politico per l’Italia. Bellocchio ce li racconta con grande ispirazione, attraverso i dubbi di una giovane donna, attraverso la claustrofobia delle stanze, dei muri, che furono teatro del rapimento del leader della Dc.
Ma uno dei favoriti per al vittoria finale sembra essere il film del regista russo Andreij Zvyagintsev, Il ritorno. Partenza in sordina ma grande recupero per questo regista dal nome impronunciabile. È l’anti Clooney. Dopo la proiezione è stato ricercato da tutti i fotografi. Il suo è un film da festival: grande lirismo, grandi temi, ottima fotografia. Si poggia su un intreccio semplice con pochi personaggi. Un padre che ritorna dopo secoli e i suoi due figli, di 12 e 14 anni. Una giornata a pesca diventa lo scenario di questo ritorno. Il maggiore sembra accettare il padre, ma il piccolo non può cancellare l’odio per l’abbandono. Un esordio brillante per questo regista che si ispira a Griffith e Antonioni.
Non se la passa bene invece il regista Bruno Dumont in concorso a Venezia 60, con Twentynine Palms. Dopo quaranta minuti dall’inizio della proiezione del suo film è avvenuta una fuga di massa per circa una cinquantina di persone. Non è andata meglio per il finale accolto da tanti buuu. I due protagonisti si accoppiano continuamente, in piscina nel deserto, ovunque. Il regista ha dichiarato di fare film con il ventre e di volere che la gente li guardi con il ventre. Tanto per essere chiari. Era stato annunciato come il film scandalo di Venezia. Il direttore della mostra Moritz de Hadeln lo aveva sponsorizzato ad agosto: «È stato scelto da France culture come uno dei film maggiori dell’anno e questo per i suoi valori eccezionali sul piano artistico». E sottolineava: «Tutto si giustifica se c’è una giustificazione artistica, se no si cade nel qualunquismo. In questo film ci sono attori, fotografia e drammaturgia eccezionali, con in più una sottotensione di angoscia durante tutta la pellicola: un lavoro notevole».
Per tutte le informazioni e il calendario della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia si può consultare il sito della Biennale. (4 settembre 2003)
Nella foto, George Clooney e Catherine Zeta-Jones alla presentazione del loro film Prima ti sposo, poi ti rovino

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