Telegram: il numero 1 Pavel Durov in arresto. Ora che succede?
Pavel Durov in arresto. Stiamo parlando del fondatore e amministratore delegato di Telegram, la nota piattaforma di messaggistica, che soltanto poche ore fa è stato fermato in Francia. Diversi i reati indicati dagli inquirenti e ritenuti in qualche maniera connessi direttamente alla figura del magnate franco-russo.
Un patrimonio da 15.5 miliardi di dollari non avrebbe impedito alla polizia francese di procedere all’arresto di Durov. Il fondatore della nota app avrebbe omesso alcuni controlli su chat e gruppi, e forse persino agevolato diverse attività criminali in qualche modo connesse e realizzate attraverso lo stesso Telegram.
Oggetto del contendere che ha portato a grossi dubbi intorno alla figura di Durov è la mancanza di moderazione dei contenuti. Circa un miliardo di utenti infatti può adoperare Telegram in numerosi modi e forme, molte delle quali attestate ben al di là del confine della legalità.
Pavel Durov in arresto: il fondatore di Telegram nei guai
A nulla è servita la cittadinanza francese a Pavel Durov. Il fondatore nonché amministratore delegato di Telegram è infatti stato arrestato proprio oltralpe dalle forze dell’ordine transalpine. Il quarantenne, in possesso di passaporto russo oltre che appunto francese, è stato bloccato dalla polizia presso l’aeroporto parigino di Le Bourget. Qui era atterrato con il proprio jet privato.
Ai danni del miliardario vi sarebbe un’accusa di connivenza in diverse attività criminali che sfruttano proprio la piattaforma di messaggistica quale canale privilegiato di azione. Una completa assenza di moderazione e un mancato controllo da parte dei gestori del canale di chat, avrebbe condotto al proliferare senza vincoli di diversificate attività illegali.
Ricordiamo che Telegram è nato nel 2013, proprio su idea geniale di Durov, che più volte ribadì di voler dare una svolta alla messaggistica internazionale. L’intuizione peraltro gli fruttò introiti eccellenti, portandolo soltanto pochi mesi fa a toccare un patrimonio pari a 15.5 miliardi di dollari, secondo i dati resi pubblici da Forbes.
Nelle prossime ore Pavel Durov sarà chiamato a comparire davanti agli organi giudiziari francesi, e dovrà fornire spiegazioni agli inquirenti. I problemi per Telegram e il suo creatore peraltro non sono cosa nuova, con il classe ’84 che più volte ha vissuto incomprensioni con i governi di diversi Paesi.
Su tutti va ricordata la distanza di vedute e i relativi dubbi sulla gestione della messaggistica (e dei gruppi in particolare) avuta con la Russia. Proprio il Cremlino già nel 2018 pretese, senza un concreto riscontro, di oscurare e bloccare diversi canali nei quali si ipotizzava girassero tesi complottiste e avverse al regime di Vladimir Putin.
Fin da allora però Durov e la direzione di Telegram rifiutò ogni bavaglio, rimanendo di fatto fedele alla pressoché completa libertà di circolazione di informazioni e contenuti. Lo stesso numero uno fu costretto a lasciare la Russia, proprio a causa di profonde incomprensioni con il Governo sovietico. La sede della piattaforma ha inoltre più volte cambiato location, passando da Berlino a Londra, e pure per Singapore, Dubai e San Francisco.
Proprio dalle parti di Mosca e dintorni invece la realtà social di Telegram è ancora oggi una delle poche ad essere fruibile dagli utenti, seppur con evidenti limitazioni e blocchi governativi. Come in numerosi altri Paesi anche nel “reame” di Putin, su Telegram gli utenti possono accedere a fonti dirette, a contenuti non sottoposti a censura, e a materiali ritenuti illegali.
L’arresto del fondatore di Telegram: e ora che succede al noto social di messaggistica?
Abbiamo provato a considerare quali potranno essere le conseguenze dell’arresto di Pavel Durov, fondatore e amministratore delegato di Telegram. Al netto di accuse che per il momento non è dato conoscere in maniera approfondita e puntuale, il coinvolgimento del ricco manager appare in qualche modo concreto.
Il motivo delle manette ai polsi di Durov sarebbe la quasi totale mancanza di moderazione e controllo nei contenuti circolanti su canali e chat di Telegram. Imputazione mossa al miliardario franco-russo è quella di omissione nell’attenzione a simili diffusioni illegali, ma pure di una possibile complicità nella circolazione di alcuni materiali considerati criminali.
Proprio la tematica della potenziale responsabilità di Durov e dei vertici del social è ciò che maggiormente fa discutere in queste ore. A creare tensione e polemica infatti è la considerazione circa l’eventuale connivenza di chi ha ideato la piattaforma lasciandone appositamente e consapevolmente liberi e porosi i limiti.
Dunque compito primo degli inquirenti sarà quello di analizzare eventuali responsabilità di progettazione, seppur una simile attenzione appare quanto meno tardiva, vista la nascita del social nel 2013 e la medesima strutturazione dello stesso rimasta invariata sin dagli esordi digitali.
Da un punto di vista penale e giuridico la situazione è tutt’altro che semplice, e i precedenti sono pochi e distanti in modalità e conseguenze. Anche Apple ad esempio qualche anno fa rimase invischiata in una vicenda molto simile nei toni.
Quindi che succede ora a Telegram? Di fatto per il momento ogni conclusione è certamente tanto prematura quanto parziale. Aspetto primo su cui occorre infatti lavorare è un’accurata analisi di presunte responsabilità dirigenziali, oltre che connivenze possibili da parte di Durov nonché dell’amministrazione del social. Impegno questo di indagine ora affidato alla polizia francese.
Una volta chiarito un eventuale evidente coinvolgimento dei vertici di Telegram la conseguenza più probabile a cui la piattaforma potrebbe andare incontro è quella di una importante multa. Più difficile invece possa arrivare una sentenza penale rivolta contro Durov e il social.
Anche perché in quel caso la prima conseguenza potrebbe essere una necessità di controllo diretto da parte delle autorità politiche e giudiziarie su social e mondo digitale. Tale ipotesi di sorveglianza di massa ha da tempo assunto i tratti di uno spauracchio tanto negli Stati Uniti quanto in Europa.
Oltre oceano infatti gli stessi fornitori di servizi digitali devono almeno parzialmente tenere sotto controllo i propri utenti, e le ricerche più frequenti da questi ultimi effettuate. In Europa l’idea del client-side scanning è ancora qualcosa di ampiamente discusso e controverso.
Conclusione: guai per Telegram, il cui numero 1 Pavel Durov è stato arrestato in Francia. Ora che succede alla piattaforma social da quasi un miliardo di utenti?
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