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Tiziano a Palazzo Te: “Venere che benda Amore”

Tiziano a Palazzo Te: “Venere che benda Amore”

Il ciclo espositivo Venere divina.Armonia sulla Terra torna a Palazzo Te di Mantova con un nuovo appuntamento estivo presentando una delle opere più celebri di Tiziano “Venere che benda Amore”. In prestito dalla Galleria Borghese di Roma, il dipinto sarà nel palazzo della città di Mantova dal 23 giugno al 5 settembre 2021. A corredo di questo capolavoro, verrà proposto un palinsesto di incontri e performance sul tema del mito di Venere.

Palazzo Te riprende il ciclo su Venere con Tiziano

Curata da Claudia Cieri Via e Maria Giovanna Sarti, l’esposizione del capolavoro di Tiziano si inserisce nel ciclo espositivo Venere divina.Armonia sulla Terra, un programma ricco e affascinante che crea incontri con alcuni dei grandi capolavori dell’arte occidentale dedicati al mito della dea.

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Risalente agli ultimi anni di Tiziano (tra il 1560 e il 1565) “Venere che benda Amore” era famoso già nel Seicento e veniva studiato da personalità come Antoon Van Dyck.

L’immagine, sgretolata e sognante, è costruita con grande maestria. Al centro del quadro non c’è nessuno dei protagonisti della scena, ma un’apertura verso un paesaggio al tramonto. In un accordo cromatico sofisticato, il rosa e l’azzurro si ritrovano sulle piccole ali del Cupido bendato. E  da un lato nel blu del panneggio di Venere, opposto al rosso cremisi dell’ancella con le frecce.

I bianchi delle vesti e gli incarnati sono percorsi dalla luce. I delicati passaggi alle ombre colorate contribuiscono a rendere meno definiti i contorni delle figure. Sta all’occhio attento dello spettatore coglierli.

La storia del dipinto “Venere che benda Amore”

Il dipinto è citato per la prima volta nel 1613, da Scipione Francucci. Egli scrisse dell’opera nel poema da lui dedicato alla raccolta di Scipione Borghese, cardinal nipote, collezionista appassionato di arte antica e moderna.

Francucci descrive il soggetto come “Venere che benda Amore” elencando i comprimari: un altro cupido e le due ninfe Dori e Armilla, una con le frecce e l’altra con l’arco.

La scena è risultata sempre di difficile interpretazione, tanto da acquisire titoli diversi negli inventari successivi della villa, dove all’inizio del 1620 la vide anche Antoon van Dyck, come testimoniato da un disegno nel taccuino italiano di schizzi, oggi al British Museum.

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Nel Novecento interpretazioni più complesse si sono basate sul reperimento di fonti letterarie. Hans Tietze ha proposto le Metamorfosi di Apuleio, in cui Venere punisce Amore per essersi innamorato di Psiche.

Erwin Panofsky formulò una interpretazione neoplatonica, identificando nei due cupidi Eros e Anteros, cioè l’amore passionale e l’amore divino, non cieco, ma in grado di contemplare il vero Amore.

Le letture successive hanno parzialmente incrinato queste interpretazioni. Infatti, osservando le espressioni dei personaggi, sembra in realtà che le due donne stiano per consegnare le armi a Cupido, invece che avergliele sottratte.

L’Amore, appoggiato alla spalla della madre, appare quasi preoccupato, invece che sicuro della sua superiorità al fratello bendato. Non si può quindi escludere che la scena rappresenti l’Educazione di Cupido, quando l’Amore cieco sta per colpire i mortali con le sue frecce disseminando innamoramento e passione.

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