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VITA E OPERE, AI WEIWEI

 

 

Il 13 marzo scorso è apparso un pianoforte bianco sotto la pioggia battente, in mezzo al fango del campo di Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia dove si trovavano oltre quindicimila rifugiati bloccati dalla chiusura delle frontiere. È opera Ai Weiwei, uno dei più noti artisti cinesi, fra i più quotati a livello mondiale, arrestato dal suo governo nel 2011 per il suo attivismo, che anche una volta rilasciato non ha smesso di lottare in nome della libertà.

La sua arte ultimamente è dalla parte dei rifugiati: ha passato molto tempo sull’isola di Lesbos dove creerà un memoriale in onore delle migliaia di profughi, ha ritirato le sue opere da un’esposizione a Copenaghen in Danimarca dove il governo ha deciso di sequestrare i beni ai richiedenti asilo, ha vestito le colonne della Konzerthaus di Berlino con 14 mila giubbini di salvataggio usati dai migranti, a Nuova Dehli durante l’India Art Fair ha esposto una foto (suscitando non poche polemiche) rievocazione della scatto della reporter Nilüfer Demir di Aylan al-Kurdi, il bambino siriano di tre anni annegato nelle acque turche.

Usa i social media per comunicare il suo dissenso politico, mentre i suoi lavori sono un approccia fra il concettuale/contemporaneo e la tradizione cinese dei grandi maestri. Quotatissimo nel mercato dei collezionisti, la sua fama estende oltre l’arte. Una monografia edita dalla Taschen realizzata con Ai Wei Wei, la prima così esaustiva, ne racconta la vita e l’opera. Immagini inedite, scatti realizzati nel suo studio newyorkese, estratti di interviste e diversi saggi per comprendere la fama dell’artista e la sensibilità uomo cinese.

 

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