Mame moda: Yohji Yamamoto piange Azzedine Alaïa
Moda

Yohji Yamamoto piange Azzedine Alaia

La collezione perfetta di Yohji Yamamoto alla Azzedine Alaïa

Per questa Paris Fashion Week Yohji Yamamoto cita l’abile disegno del couturier morto a novembre, Azzedine Alaïa. Maestro scultore della moda, era famoso per la sua costante ed instancabile ricerca della perfezione. Yamamoto ne venera proprio quell’approccio, facendo sfilare infinite varianti di lunghi, scultorei cappotti neri. Questi, con colletti importanti, sono drappeggiati e avvolti intorno alla silhouette in incredibili composizioni. Alcuni look sfoggiano tocchi di bianco, quasi a voler rompere questa cristallina e delicata eleganza.

Nonostante possibili differenze di visione tra Yamamoto e Alaïa, queste due leggende della moda erano e rimangono simili per molti aspetti. Come il rigore ossessivo della costruzione, indipendentemente dal risultato voluto. O la devozione dogmatica al nero e il costante rifiuto delle tendenze. Del resto, dal solo invito si poteva già capire perfettamente che sarebbe stato uno show degno di nota. Accanto ad un nudo femminile, “Hommage” seguito da “1. M. Cubisme “e” 2. Mon cher Azzedine “.

“Qualcosa che non è mai stato fatto prima nella moda: un omaggio a Mr. Cubism [Pablo Picasso]”

Così lo stilista Yohji Yamamoto descrive l’altra sfida che ha deciso di imporsi per questa collezione. I cenni più letterali sono costruzioni cubiche tridimensionali lavorate sulle maniche di una giacca di pelle marrone lucida. O, ancora, sulla spalla di un lungo cappotto svasato. ma tutta la collezione profumava della decostruzione della forma umana tipica picassiana. Un colletto spunta qui, una manica lì. Invece, il tributo ad Alaïa si vede chiaramente nei corsetti in pelle che Yohji Yamamoto fonde con la sua stoffa, nelle fragili cuciture a vista.

Yohji Yamamoto dichiara: “Cubismo, Surrealismo e astrazione erano una triplice difficoltà“. Eppure le giacche di pelle, gli stivali a punta smerlata e un cappotto a doppio petto con doppi bottoni erano così indomabili che sarebbe stata un’ingiustizia nominarli “arte”.

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