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Spettacolo,  Milano,  Teatro

Abracadabra: magie di liberazione per Mario Mieli. Intervista a Irene Serini, Caterina Simonelli e Anna Resmini

Abracadabra – Incantesimi di Mario Mieli: il quarto studio raccontato in esclusiva da Irene Serini, Caterina Simonelli e Anna Resmini

Abracadabra – Incantesimi di Mario Mieli: il quarto studio, in scena al Teatro Litta di Milano fino a domenica 11 è una magia di liberazione. “I don’t want realism, I want magic! Yes, yes magic”, ironizza Irene Serini sul palco, masticando le parole di Tennessee Williams. Ma ironia non è, semmai auto-ironia, quel vezzo dell’intelligenza a non prendersi troppo sul serio, a giocare. Il teatro è infatti soprattutto gioco, come ci ricordano l’inglese to play o il francese jouer; sfumatura sacrificata nell’italiano “recitare”.

Sul palco tutto Mario Mieli è citato, ma mai re-citato: sempre giocato. Nelle linee, negli spazi montati e smontati, nel gioco delle illusioni (magia o realismo?), dei copioni a vista e delle maschere (il naso rosso da pagliaccio, la più piccola maschera del teatro), a teatro si gioca. Così si rivela l’anima di uno studio che è soprattutto insurrezionale, liberatorio, direi persino anarchico nel senso profondo, se anarchia è rifiuto dell’eteronomia. Così si annuncia il regno della libertà che è il sottotesto di Abracadabra – Incantesimi di Mario Mieli, studio 4: il regno della libertà.

Se non mi credete, ecco quello che mi hanno raccontato Irene Serini, Caterina Simonelli e Anna Resmini.

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Irene Serini durante le prove dello spettacolo Abracadabra (studio 4) – Foto Luca Del Pia

Abracadabra: Irene Serini, Caterina Simonelli e Anna Resmini ci raccontano in esclusiva gli incantesimi di Mario Mieli

F: Irene, Caterina, Anna: come nasce questo lavoro su Mario Mieli?

Irene: “La nascita avviene nel momento in cui leggo questo libro di Mario Mieli, che è Elementi di critica omosessuale. Mi affascina tantissimo ed entro in contatto con tanti luoghi, anche misteriosi, della mia identità di genere, del mio orientamento sessuale. Mi stupisce poi che quel pensiero, che io trovavo così cocente, così attuale, fosse anche così poco noto e allora decido di portarlo in scena. Il primo studio risale al 2017, fatto totalmente in solitaria. A partire dal secondo studio, invece, inizio a confrontarmi con Caterina“.

F: Quindi c’è un vero e proprio percorso tra uno studio e l’altro…

Irene: “Sì, gli studi si dividono per tematica. I primi tre hanno a che fare con il tuo desiderio profondo, vissuto nell’intimità. Quindi la tua consapevolezza di essere maschio e femmina insieme, etero e gay insieme. Questo, invece, per la prima volta è uno studio che ha attinenza con un discorso politico-economico, e con quanto questo gravi nella nostra camera da letto; riguarda anche la mercificazione della sfera sessuale. Si sviluppa un percorso, ma si aggiunge anche della tecnica, come corpo esterno ulteriore al corpo dell’attore”.

F: E qui arriva anche l’inserimento di queste meravigliose grafiche, che si sviluppano insieme allo spettacolo e che ha curato Anna…

Anna: “Sì, le grafiche sono la registrazione dello schermo mentre io lavoro. Quindi vediamo lo schermo per come è agito in quel momento, anche in una corrispondenza con il fluire dello spettacolo. La linea che divide il triangolo a metà inizia ad esempio quando una voce femminile, alla domanda su quale sia la differenza tra maschio e femmina, dice: ‘Si tratta di questioni fisiche che ci dividono’. E parte la prima linea che divide”.

Caterina: “Però il linguaggio visivo, come la musica, dà un ampio margine di interpretazione. Io vorrei aggiungere che la linea in fondo è ciò che unisce due punti in uno spazio, quindi la linea del triangolo io la interpreto anche come una linea di contatto, non solo di divisione. Come metafora della relazione”.

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F: Questo sistema di linee si ricollega a ciò che è e ciò che sembra, e alle canzoni di Franco Battiato che avete scelto, oppure no? Soprattutto: ha a che fare con quel meraviglioso finale che avete scelto per questo spettacolo? Un finale stupendo, di autentica liberazione rispetto a questo discorso, secondo me.  

Irene: “Noi ci chiediamo sempre: “Cosa cova sotto un’immagine, sotto dei gesti compiuti e quanta libertà viene concessa allo spettatore di interpretare?”. Quello che ci interessa è concedere al pubblico di ricevere quello che stiamo facendo nella maniera più ampia possibile, quindi di concedere a te di interpretare in un senso e al tuo vicino di farlo in maniera diversa. Questo è uno spettacolo che lascia lo spettatore libero di assumersi una responsabilità: dare un proprio significato a quello che sta vedendo. Noi siamo abituati nella vita ad avere qualcuno che ci dica che significato dare alle cose, qual è il significato giusto. Qui no. Per questo Anna e Caterina riescono a darti due interpretazioni complementari di quello che vedi”.

F: E Battiato…

Irene: “Venendo a Battiato, invece, certamente le canzoni hanno un valore drammaturgico. Mario Mieli era un’alchimista, affascinato dall’esoterismo e questo lo avvicina ad un artista come Franco Battiato. Nei brani che abbiamo scelto c’è un tipo di sensibilità di sguardo e di ascolto nei confronti del mondo e di sé stessi, molto compatibile con questo lavoro. ‘Niente è come sembra’, poi, è una frase complicatissima, ma è chiaro che qui la prima richiesta di ricezione è riconoscere che il sistema capitalistico ci illude completamente. Cioè che viviamo in un mondo che bisogna interpretare diversamente perché probabilmente non è come lo vediamo, che non è come ci sembra. Questo ovviamente poi ha a che fare anche con il finale”.

F: Perché fare e guardare uno spettacolo su Mario Mieli? Quanto c’è di ricerca solo personale e invece quanto di volontà divulgativa?

Irene: “Per me è interessante alimentare curiosità, ma questo non è uno spettacolo né nozionistico né nostalgico: usa la leva dello spostamento del pensiero. Il senso è intercettare lo spettatore per mostrargli quanto quel tipo di pensiero sia vivo e cocente anche oggi.

Poi in termini personali io, come ti accennavo prima, ho dovuto fare i conti con un modello femminile, richiesto dalla società, che non mi apparteneva. Io non ho nulla di particolarmente calzante con il modello della donna italiana, sono difficilmente catalogabile e commerciabile in tal senso. Quindi c’è anche un mio percorso legato all’identità”.

F: Il discorso sull’identità quindi si lega sempre ad un discorso sulla mercificazione?

Irene: “In questo studio sì. Le domande che sono alla base di tutto il progetto in generale sono sempre: ‘Cos’è l’identità, chi la determina e a chi serve?’ E sulla base di queste tre domande io quotidianamente mi relaziono con me stessa e col mondo”.

F: E hai trovato delle risposte a queste domande?

Irene: [ride] “La mia risposta non vale per te”.

Anna: “Secondo me, se posso, il punto è porsi la domanda, non tanto le risposte che ognuno di noi può darsi. Questo spettacolo non ti dà delle risposte a queste domande, le pone, come diceva anche prima Irene parlando della libertà interpretativa”.

F: Quindi il senso è la messa in discussione?

Caterina: “Più che la messa in discussione è avere la possibilità di disinnescare una prospettiva che riceviamo dall’esterno, disinnescare la costruzione di una persona collettivamente conveniente a scapito del sé. Trovare altre prospettive. Quello che facciamo qui è metterci su un palco, che è uno spazio di rappresentazione, per poi disattenderla da subito. Facciamo quindi tutto ciò che è sbagliato. Questo è anche il punto: il rapporto con l’errore, con il fallimento, con l’inversione di marcia anche rispetto ad una norma, che può essere disattesa. Per me è stato un percorso affascinante prima dal punto di vista politico, più che sull’identità come lo è stato per Irene. Questa è anche la ricchezza del progetto”.

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Caterina Simonelli insieme ad Irene Serini – Foto Luca del Pia

Anna: “Sono d’accordo. Questo spettacolo è difficile contenerlo, perché per ognuno è diverso. Per me ad esempio è stato un percorso artistico. Io ero molto sofferente per il mio lavoro, proprio a livello creativo. Nella società odierna la richiesta di produzione è sempre molto serrata, ti si chiede un risultato perfetto… Io sto cercando di disinnescare tutto questo, di permettermi di avere il tempo per produrre (che è un grande lusso in questa società), ma anche il tempo per sperimentare le zone d’ombra, l’errore. Queste sono cose fondamentali, ma che a livello sociale non trovano mai spazio. Non ti sono richieste”.

F: Voi nello spettacolo parlate anche di questo, di lavoro. E ci fate ironia, come ad esempio sul biglietto a prezzi scontati…

Irene: “Il teatro è sempre metafora: non è il prezzo del biglietto di uno spettacolo, ma siamo tutti sullo stesso scaffale dei prezzi scontati, come dice Caterina in scena. Quindi siamo noi ad essere prezzi scontati, non tanto la fragile economia del teatro: è il nostro biglietto umano a valere pochissimo. Perché siamo tutti sul banco del supermercato. Perché viviamo in un mondo in cui in un attimo possono dirci che il nostro lavoro, che la nostra stessa vita vale pochissimo. Su questo bisogna riflettere”.

FIN…

Identità, angoscia, liberazione, mercificazione, perversione, scambio, soldi, lavoro, categorie, potere, gerarchie, ruoli, amore e illusione.

“Al di là della necessità di Liberazione dell’Eros per raggiungere stati di comunicazione spirituale più elevati, al di là della struttura dell’ego che ci fa vivere come individui separati dal resto, al di là delle strutture sociali che ci dividono…” (Mario Mieli)

Avete ancora tempo fino a domenica 11 per farvi sconvolgere. Tutte le info qui: ABRACADABRA Incantesimi di Mario Mieli: lo spettacolo al Teatro Litta

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