Arte

ARIANNA CATANIA CI RACCONTA DI GIBELLINA PHOTOROAD

Gibellina si appresta a rinascere per una seconda volta. Merito di Arianna Catania, direttore creativo di Gibellina PhotoRoad, photo editor, curatrice e giornalista che ha deciso di riportare l’attenzione sulla cittadina siciliana. In quel territorio distrutto da un terremoto nel 1968, poi ricostruito, carico di storia e invaso di opere d’arte, oggi un museo a cielo aperto che da quest’estate ospiterà dal 29 luglio al 31 di agosto la prima edizione del Festival Internazionale di Fotografia Open Air

 

Com’è nato Gibellina PhotoRoad, il Festival Internazionale di Fotografia Open Air?
Il Festival nasce da un sogno e dalla voglia di riportare l’attenzione su Gibellina, piccola città siciliana che è uno dei musei a cielo aperto più grandi del mondo, ancora tutt’oggi poco valorizzato, nonostante la sua storia unica. Dopo un intenso incontro con Ludovico Corrao- il Sindaco visionario che, dopo il terremoto del 1968, ha chiamato gli artisti di tutto il mondo per contribuire al processo di ricostruzione- ho iniziato a studiare e osservare, e nei due anni successivi ho elaborato l’idea che un grande festival di fotografia potesse essere la chiave per far nuovamente rinascere la città.

Un festival Open Air. C’è un collegamento con le opere dei grandi maestri del ‘900, ovvero Alberto Burri, Arnaldo Pomodoro, Pietro Consagna e Renato Guttuso che dopo il terremoto del 1968 hanno contribuito con le loro opere all’aperto a ricostruire la città di Gibellina?
Sì, il legame è stretto perché gli artisti che hanno contribuito alla ricostruzione non erano avulsi dal contesto ma lavoravano con la città e i suoi abitanti. Così come il festival di fotografia che nasce in stretto legame con la città, anche perché legato a una serie di laboratori di fotografia che abbiamo realizzato per i ragazzi del Belice. Il festival dunque non è un evento isolato, “calato dall’alto” ma si integra con il tessuto urbano. E anche per questo è in continuità con la sua storia. Qui le grandi architetture e opere d’arte si rinnovano e diventano spazi espositivi, pronti ad accogliere le mostre fotografiche, che in quella location espandono il proprio significato. È grazie al lavoro dei grandi maestri e artisti che la città si presenta oggi come un vero museo, habitat naturale per un festival di fotografia “all’aperto” in cui le mostre site-specific trovano il proprio posto, in allestimenti “visionari” che presentano i progetti sotto una luce nuova.

Il tema scelto per questa prima edizione è “Disordine”. In fotografia come viene rappresentato?
Il “disordine” è un tema versatile, parola chiave del nostro tempo che ha inoltre forti relazioni con il territorio sconvolto da un terremoto, in cui il Festival nasce. Ma l’aspetto che più ci interessa è ciò che di positivo si innesca nel post-catastrofe. Inoltre la fotografia è fin dalla sua nascita “arte del disordine”, e ancor più oggi con la miriade di linguaggi che la contraddistinguono. È possibile rintracciare il tema in tutte le trenta mostre in programma, anche se mai questo è urlato: grandi questioni, immigrazione, guerre e cambiamenti climatici; sperimentazioni, innovazioni e nuove tecnologie; disastri e trasformazioni del paesaggio; inversioni del punto di vista.

Oltre alle esposizioni anche la proiezione di un cortometraggio dell’artista Petra Noordkamp, La Madre, il figlio e l’architetto. Qual è il collegamento fra la pellicola e le mostre?
Questo documentario è composto da immagini fotografiche in movimento, lento. L’artista olandese Petra Noordkamp è una fotografa, arrivata per caso a Gibellina, incantata dalla sua storia: gli unici tre documentari che ha realizzato poggiano lo sguardo su Gibellina e uno di questi è La Madre, il figlio e l’architetto. La fotografa ferma il suo sguardo continuamente e, lentamente, la camera si muove per svelare l’inaspettato.
Questo progetto, al limite tra video e fotografia, è interessante perché esplora i possibili legami con altri linguaggi, riflettendo su come si espande l’inquadratura fotografica, che talvolta necessita di movimento per approfondire il racconto.

Quanto tempo c’è voluto per organizzare un festival di tale portata? I nomi presenti, sia in mostra che negli eventi delle giornate inaugurali, sono importanti.
Oltre un anno di intenso lavoro, anche se l’ideazione parte da un’osservazione più lontana. Molte intuizioni sono nate da sogni o visioni, e da coincidenze sorprendenti. L’equilibrio tra autori siciliani, nazionali e internazionali, il coinvolgimento di critici, photo editor e curatori, la volontà di creare degli incontri che non fossero destinati solo ad addetti ai lavori, nasce da una conoscenza del contesto in cui si muove la fotografia in ambito internazionale e dal dibattito che le ruota intorno.
Ho voluto dare spazio ad autori ed esperti del settore che reputo abbiano qualcosa di autentico e di profondo da raccontare e trasmettere. Oggi ci sono troppi fotografi armati di tecnologia, ma ho voluto selezionare solo chi ha una visione e una progettualità che poggia su solide basi che durano nel tempo. Il coinvolgimento dei grandi maestri che hanno contribuito a ricostruire la memoria di Gibellina, gli autori affermati nel panorama internazionale e i giovani autori che stanno facendo già la storia della fotografia.

Qualche anticipazione sulla seconda edizione?
L’obiettivo è far sì che il festival diventi un evento annuale, o forse biennale, vista la sua portata: la potenzialità della città e della sua storia mescolata alla forza della molteplicità che contraddistingue la fotografia oggi, non può esaurirsi in una edizione.
Il Festival continuerà ad approfondire questa sua anima “aperta” alla sperimentazione e alla partecipazione: la Call for an open air exhibition, grande successo di questa prima edizione, sarà sicuramente confermata e ampliata. Inoltre l’intento è quello di creare una sezione didattica permanente a Gibellina, strettamente legata.

 

Gibellina PhotoRoad
Dal 29 luglio al 31 agosto
Sedi varie, Gibellina

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