Dizionario Opera

Arlesiana, L’

Dopo il successo di Tilda (1892), Cilea accettò con entusiasmo l’idea di musicare L’Arlésienne di Daudet che, pur essendo un soggetto scomodo (per via dell’indiretto confronto con Bizet che nel 1872 aveva composto le musiche di scena per il dramma originale), gli offriva l’opportunità di affrancarsi dalle tematiche più dichiaratamente veriste rispetto alle quali si sentiva estraneo. L’opera andò in scena al Teatro Lirico, che nel 1894 era stato acquistato dall’editore Sonzogno, ed ebbe dapprima un esito incerto a causa di interpreti femminili mediocri. Drammaticamente efficace e impeccabile sotto il profilo vocale si rivelò invece la prova di Enrico Caruso (allora ventiquattrenne e agli esordi) nella parte di Federico, che fissò in modo pressoché esemplare i caratteri vocali ed espressivi del protagonista (rimase celebre la sua aria “È la solita storia del pastore”, il cosiddetto ‘Lamento di Federico’). L’opera tratta dell’ossessione amorosa di Federico per una fanciulla di Arles che, pur non comparendo mai in scena (pare che Cilea tenesse molto a questa particolarità riuscendo a imporsi su Sonzogno, che avrebbe preferito un’impostazione più tradizionale) domina letteralmente l’intera vicenda.

Federico è dunque innamorato di una giovane di Arles che ha deciso di sposare. Ma un giorno giunge Metifio che, esibendo delle lettere d’amore della fanciulla a lui indirizzate, rivendica il proprio diritto a ottenerne la mano. Le nozze sfumano e Federico precipita nella più cupa disperazione. Vivetta, una fanciulla innamorata di Federico, sostenuta dalla madre del giovane, Rosa, si adopera per suscitare in lui una nuova passione. Infine Federico si piega alle profferte della fanciulla e accetta di sposarla. Ma il giorno stesso della cerimonia, quando anche Federico si è illuso di essersi per sempre liberato della sua insana passione, riappare Metifio che con poche frasi suscita la gelosia del giovane che, disperato, si uccide gettandosi da una finestra.

L’impostazione originale, lo stile piano e quasi colloquiale del libretto diedero a Cilea la possibilita di manifestare quell’eloquio raccolto e commosso, espresso con una vocalità intensa, che è la sua caratteristica inconfondibile, ma che rappresentò inizialmente un ostacolo alla comprensione della sua poetica, così diversa da quella degli altri autori della cosiddetta ‘Giovane Scuola’. In questo, più che in una presunta carenza della partitura originaria o nell’esito della ‘prima’, andranno ricercati i motivi dell’iniziale freddezza di Sonzogno nei confronti dell’ Arlesiana . Solo la nuova rappresentazione dell’opera (Milano, 22 ottobre 1898), riveduta ed emendata di alcune lungaggini, nonché il successivo, trionfale esito di Adriana Lecouvreur , ebbero da allora ragione di ogni dissenso. Negli anni tra le due guerre, grazie soprattutto a due interpreti come Gigli e Schipa, L’Arlesiana conobbe una sensibile affermazione, anche se oggi non rientra nel novero delle opere veriste più spesso rappresentate.

Type:

Dramma lirico in tre atti

Author:

Francesco Cilea (1866-1950)

Subject:

libretto di Leopoldo Marenco, dal dramma omonimo di Alphonse Daudet

First:

Milano, Teatro Lirico, 27 novembre 1897

Cast:

Federico (T); Rosa Mamai, sua madre (Ms); Vivetta, figlioccia di Rosa (S); Marco, fratello di Rosa (B); Baldassarre, vecchio pastore (Bar); Metifio, guardiano di cavalli (Bar); l’innocente (Ms); fanciulle, villici

Signature:

a.p.

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