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Bob Marley, il profeta del reggae

Trent’anni fa Exodus, uno dei suoi capolavori Bob Marley, all’anagrafe jamaicana Robert Nesta Marley, è stato ed è tuttora, e non in senso metaforico, un profeta. I suoi dischi sono vere e proprie scritture. Discepoli, le migliaia di persone in tutto il mondo che ascolano ancora la sua musica. Apostoli, coloro che bene o male continuano a seminare il suo verbo. Riti collettivi, i suoi concerti. Ogni sua canzone può quindi essere interpretata come una sorta di preghiera. Cosa c’entra l’enigmatico Bob Marley, un musicista, un donnaiolo impenitente, un teppistello fumatore di marijuana con concetti alti come la religione, o meglio, la spiritualità? La risposta è il reggae. Il reggae è la musica che Marley ha contribuito a inventare, e che meglio di chiunque altro ha saputo diffondere oltre i confini della natia Jamaica.

Marley è il profeta del reggae. Ma il reggae è, in un certo senso, la Jamaica. Lo spirito della Jamaica. Un isoletta abbastanza sperduta nell’Oceano Atlantico, ex colonia britannica, con una classe politica di cartone, troppo sole e poco cibo. Ma in grado di lanciare un grido tanto forte da risuonare nell’intero globo. Un grido di rivolta. Contro chiunque non rispetti i fondamentali diritti di ogni persona. Non siamo nell’america di Kennedy (che tuttavia, va ricordato, è pur sempre la terra di nascita di James Brown e Mohammed Alì) o nella Francia di De Gaulle, nella Russia di Krusciov e neanche nell’Italia del sempiterno Andreotti. Siamo nel cosiddetto terzo mondo, Bob Marley e i suoi Wailers ne sono le vere prime, e forse (purtroppo) uniche, grandi rockstar.

Ai primi di giugno del 1977, in piena ubriacatura punk, dopo aver già sfornato album leggendari come Catch A Fire, esce Exodus. Uno dei dischi più belli di Marley, ammesso che ne esista uno brutto. Contiene l’omonimo brano ma anche Jammin’, Waiting in Vain, One Love. I Clash, Eric Clapton e John Lennon gli portano rispetto. Folle oceaniche, da Milano allo Zimbawe, accorrono ai suoi concerti. Marley nel frattempo suona e canta, di giustizia e libertà, tradisce la moglie e gioca a calcio. Morirà di cancro quattro anni dopo l’uscita del disco in questione, l’11 maggio del 1981, a Miami. Ma non prima di aver dato alla luce altri album memorabili come Babylon By Buse Uprising, per dirne due. Era nato in un sobborgo di Kingston il 6 febbraio del 1945. Il 6 febbraio in Jamaica è festa nazionale, chiaramente in suo onore.

Tutti gli album di Bob Marley recensiti uno per uno da Paolo Ferrari

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