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Dizionario Arte

Burri Alberto. Pittore, collagista e disegnatore italiano

Alberto Burri. Pittore, collagista e disegnatore italiano

Alberto Burri nacque a Città di Castello (Perugia) il 12 marzo 1915.

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Alberto Burri: medico tra guerre e prigionia

Dopo aver conseguito la maturità classica presso il liceo Annibale Mariotti di Perugia, nel 1934 s’iscrisse alla facoltà di medicina all’Università della stessa città.

Nell’estate del 1935, poco prima che l’Italia invadesse l’Etiopia, presentò domanda di arruolamento alla Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Il 3 novembre partì da Napoli per l’Africa, dove rimase fino alla fine d’ottobre 1936, quando da Gibuti (Somalia francese) s’imbarcò per l’Italia. Negli anni successivi riprese gli studi medici fino alla laurea nel 1940. Successivamente, con l’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, fu richiamato alle armi.

Nei giorni della resa italiana in Africa, gli inglesi lo catturarono l’8 maggio 1943, poco distante da Tunisi. Passato in mano agli statunitensi, lo condussero in Texas e rinchiusero nel campo di prigionieri di guerra di Hereford, dove giunse nell’agosto 1943 e rimase per 18 mesi. Fu in questo periodo che maturò la convinzione di dedicarsi alla pittura. Una delle rare testimonianze delle prime prove pittoriche è costituita dal quadro Texas (1945; Roma, collezione privata) che raffigura, con modi realistici, il paesaggio visibile dal campo di prigionia in cui era rinchiuso. Rientrato dalla prigionia molto dopo la fine delle ostilità, giunse a Napoli nel 1946 convinto di dedicarsi alla pittura a Roma.

Dall’esordio romano all’affermazione americana

La prima mostra personale di Burri, favorita dall’architetto Amedeo Luccichenti, si svolse nel luglio 1947, presso la galleria La Margherita di Gaspero del Corso e Irene Brin, e furono i poeti Libero de Libero e Leonardo Sinisgalli a presentarla. Le opere esposte erano ancora di carattere figurativo con qualche debito verso la pittura tonale della Scuola romana degli anni Trenta.

Nei giorni dell’esposizione conobbe lo scultore Pericle Fazzini, vicepresidente dell’Art Club, importante sodalizio artistico romano aperto anche alle novità dell’arte astratto-concreta. Dal dicembre 1947 iniziò a prendere parte alle mostre dell’Art Club, fino ai primi anni Cinquanta. Nello stesso 1947 ottenne il primo riconoscimento ufficiale del suo lavoro, vincendo il secondo premio nella prima edizione del Premio Perugia, con Pesca a Fano.

Nella sua seconda mostra personale, sempre presso la galleria La Margherita, nel maggio 1948, propose per la prima volta opere astratte che, con le loro forme ora amebiche e organiche, ora filiformi e reticolari, rivelavano alcune affinità con il linguaggio di Jean Arp, Paul Klee e Joan Miró.

Le prime sperimentazioni: catrami, muffe e sacchi

Successivamente iniziò a elaborare i primi catrami. Qui, i materiali come olio, catrame, sabbia, vinavil, pietra pomice, cominciavano a prendere il sopravvento sulla semplice composizione formale. Non è chiaro quanto possa aver influito, in questi lavori, la conoscenza delle opere di Jean Dubuffet o di Wols (Alfred Otto Wolfgang Schulze). È però un fatto che Burri si recò a Parigi alla fine del 1948. Qui ebbe visitò lo studio di Miró, ammirò le opere di Alberto Magnelli e vide le esposizioni della galleria René Drouin, uno dei centri più importanti della nuova stagione artistica (poi ‘informale’).

L’anno dopo, grazie a una segnalazione alla III Mostra annuale dell’Art Club, espose una sua opera (Composizione, 1948; collezione privata) al Salon des réalités nouvelles di Parigi. La tela fu apprezzata dal critico Christian Zervos che, in seguito, visitò lo studio di Burri e pubblicò Catrame (1949; Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini, Collezione Burri) nel fascicolo del 1950 della sua rivista Cahiers d’Art.

Il 1950 fu un anno di grande sperimentazione per Burri: dipinse diverse muffe, sfruttando le efflorescenze prodotte dalla pietra pomice combinata alla tradizionale pittura a olio, ma anche il primo gobbo, dal caratteristico rigonfiamento ottenuto con rami di legno sistemati su retro della tela, e il primo sacco, realizzato interamente con la juta, rattoppata e ricucita. Sempre nel 1950, eseguì il grande Pannello Fiat (un quadrato di quasi 5 m di lato) per la sala espositiva di una concessionaria di automobili romana.

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Composition (Composizione), 1953, Solomon R. Guggenheim Museum, New York

Nel gennaio 1951 firmò il manifesto Origine (con Mario Ballocco, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla). Burri partecipò anche alla mostra inaugurale del gruppo, scioltosi l’anno dopo, e inoltre alcune sue opere, tra cui Gobbo (1950, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), furono incluse nella mostra Arte astratta e concreta in Italia, allestita presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, nel febbraio del 1952.

Proprio quell’anno si aprì con la mostra personale Neri e Muffe, presso la galleria dell’Obelisco di Roma. Ad aprile, presso la Fondazione Origine dell’amico Colla, si tenne la mostra Omaggio a Leonardo in cui espose tra gli altri Lo Strappo, uno dei primi sacchi che solo pochi mesi dopo fu rifiutato dalla giuria della Biennale di Venezia. Fu invece accolto, nella sezione del ‘bianco e nero’ della mostra veneziana, il disegno Studio per lo strappo, acquistato da Lucio Fontana. Burri fu tra i firmatari del Manifesto del movimento spaziale per la televisione, promosso dallo stesso Fontana.

L’arrivo sulla scena americana

La prima mostra personale americana, Alberto Burri: paintings and collages, allestita presso la Allan Frumkin Gallery di Chicago, si svolse nel 1953; fu poi trasferita nella newyorkese Stable Gallery di Eleanor Ward alla fine dell’anno.

Nel frattempo Burri aveva conosciuto il critico James Johnson Sweeney, il quale, impressionato dai suoi lavori e in particolare da ZQ 1 (1953; collezione privata), decise di promuoverne il lavoro attraverso il sostegno critico. Tale supporto sfociò nella prima monografia a lui dedicata (1955) e l’inclusione di alcune sue opere nell’attività espositiva del Solomon R. Guggenheim Museum. Due opere di Burri furono così inserite nella mostra collettiva Younger European painters, che, dopo la tappa di New York (dicembre 1953-febbraio 1954), si spostò nei due anni successivi in varie città americane.

Alberto Burri: dentro il clima dell’Informale

Nell’aprile 1953 si svolse, presso la Fondazione Origine, una nuova personale di Burri presentata dal poeta Emilio Villa, con cui instaurò una collaborazione durata anni. Verso la fine del 1955, iniziò a servirsi nei suoi lavori del fuoco, realizzando le prime piccole combustioni su carta.

Il 15 maggio 1955 sposò, a Westport (California), la ballerina americana d’origine ucraina Minsa Craig (1928-2003), conosciuta a Roma l’anno precedente.

Nello stesso periodo apriva la mostra collettiva The new decade: 22 European painters and sculptors, organizzata dal MoMA di New York, dove erano esposti cinque suoi lavori. Con le due personali dello stesso anno, questa esposizione rappresentò la sua definitiva affermazione in territorio americano.

Mentre nelle esposizioni erano soprattutto i sacchi a riscuotere i consensi, Alberto Burri continuava a realizzare numerose combustioni (con legno, tela e plastica) che offrivano l’idea di un pittore pienamente inserito nel clima dellInformale. La mostra inaugurale della Rome-New York Art Foundation fu l’occasione per l’esposizione della prima di queste opere, Rosso Combustione Plastica (1957, collezione privata).

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Alberto Burri, Rosso Plastica M3, 1961, Plastica combustione su tela. Fondazione Palazzo Albizzini, Collezione Burri

Nel 1957 si svolsero numerose mostre personali ed ebbe luogo la sua prima importante retrospettiva presso il Carnegie Institute di Pittsburgh, poi trasferita a Chicago, Buffalo e San Francisco.

La svolta di fine anni Cinquanta e le nuove ricerche

Verso la fine dell’anno, con un’inattesa svolta rispetto alla recente produzione, realizzò i primi ferri, in cui sfruttava le possibilità offerte dalla tecnica della saldatura all’interno di un discorso pittorico bidimensionale. Le prime di queste opere mantenevano analogie compositive con sacchilegni e plastiche, mentre successivamente Burri maturò un’impaginazione più rigorosa e consona alle caratteristiche del nuovo materiale utilizzato. La prima mostra dedicata fu allestita presso la milanese galleria Blu di Peppino Palazzoli alla fine del 1958.

Finalmente nel 1960, Burri ottenne una sala alla Biennale di Venezia, dove ricevette anche il premio dell’Associazione internazionale dei critici d’arte. Nello stesso anno realizzò il primo documentario della sua opera.

Tra il 1962 e il 1963 Burri ripensò ad alcune plastiche degli anni Cinquanta. La nuova stagione delle plastiche si protrasse per tutto il decennio.

Nel 1963 disegnò la scenografia e i costumi per cinque balletti del pianista, direttore d’orchestra e compositore americano Morton Gould alla Scala di Milano. L’anno successivo ricevette il Premio Marzotto per la pittura.

Dai cretti ai cicli degli anni Ottanta

All’inizio degli anni Settanta, Alberto Burri si dedicò a due nuovi allestimenti teatrali: nel 1972 realizzò le scene del balletto November steps e l’anno dopo eseguì Teatro continuo per la Triennale di Milano (Parco Sempione).

In quegli anni cominciò a lavorare anche ai cretti, originati da una misurata miscela di collanti acrovinilici con altri materiali utilizzati per ricoprire il supporto (creta, caolino, bianco di zinco). La miscela granulosa ottenuta, a contatto con l’aria, si rigonfiava e si crepava sotto l’azione del calore. Compito dell’artista era di controllare il processo di “crettatura” e bloccarlo, con uno strato di colla vinavil, quando avesse raggiunto l’equilibrio compositivo voluto. Espose i cretti, sui quali lavorò per tutto il decennio, per la prima volta nell’ottobre del 1973 a Bologna alla galleria San Luca.

Tra 1975 e 1976, dopo aver viaggiato in Messico e Guatemala, ideò gli ultimi due allestimenti teatrali: realizzò le scene di Tristano e Isotta di Wagner per il teatro Regio di Torino e progettò Teatro Scultura per ‘Operazione Arcevia. Comunità esistenzialeˈ.

In una mostra antologica allestita presso il convento di S. Francesco d’Assisi, nel maggio 1975, propose al pubblico anche un cellotex di recente realizzazione. Il cellotex era un materiale generalmente utilizzato in edilizia come isolante e realizzato con una mistura di colle e segatura di legno. Burri, dopo averlo usato per anni come supporto, lo scelse per le proprie sperimentazioni. Raschiato e inciso con sapiente precisione, il cellotex perdeva la sua anonimità per diventare il luogo di dialogo tra luce e ombra.

L’evoluzione più spettacolare dei cretti fu il cretto di Gibellina (Trapani). Convocato nel 1981 da Ludovico Corrao, sindaco della cittadina distrutta dal terremoto nel gennaio 1968, propose di realizzare un cretto di quasi 90.000 m² sulle macerie della vecchia Gibellina. I lavori, iniziati nell’agosto del 1985, furono interrotti nel dicembre 1989 per mancanza di fondi con l’opera non ancora completata.

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Cretto di Ghibellina

Le ultime sperimentazioni: i cicli pittorici e scultorici

Il Viaggio (1979), formato da dieci monumentali composizioni che ripercorrevano i momenti più significativi della sua produzione artistica, inaugurò invece la stagione dei grandi cicli pittorici. Negli anni successivi realizzò Orti (1980), Sestante (1984), Rosso e nero (1984), Annotarsi (1985), Non ama il nero (1988), ora esposti permanentemente presso gli Ex Seccatoi del tabacco di Città di Castello.

A Palazzo Albizzini, sede della omonima Fondazione, costituita per volere dello stesso Burri nel 1978, e negli Ex Seccatoi, inaugurati come luogo espositivo nel luglio 1990, l’artista allestì infatti la collezione che donò alla città natale. Attraverso il percorso museale organizzato in queste due sedi e il catalogo sistematico delle sue opere, maturato alla fine degli anni Ottanta e realizzato sotto la sua attenta regia, offrì così una precisa ipotesi di lettura della sua produzione in cui trovarono posto anche le sculture di grandi dimensioni (Grande Ferro SestanteGrande Ferro KGrande Ferro U), cui cominciò a dedicarsi in contemporanea ai grandi cicli pittorici.

All’inizio degli anni Novanta, Burri e la moglie lasciarono la California e si stabilirono in Costa Azzurra. Nonostante l’età avanzata proseguì la sperimentazione di nuovi materiali: l’ultimo suo lavoro fu Metamorfex, un ciclo di nove opere presentate, dall’amico Nemo Sarteanesi, negli Ex Seccatoi.

Alberto Burri morì a Nizza il 13 febbraio 1995.

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