Dizionario Opera

Duca d’Alba, Il

Iniziata a Parigi nell’aprile 1839 per l’Opéra, a ridosso degli adattamenti francesi di Poliuto ( Les Martyrs ) e Lucia di Lammermoor , l’opera non piacque a Rosine Stolz, e pertanto venne abbandonata ancora incompiuta. Nel 1875, in occasione della traslazione delle spoglie di Donizetti in Santa Maria Maggiore a Bergamo, si pensò di completarla, ma il progetto fu abbandonato, come già era accaduto nel 1848 con Dietsch. Nel 1881 il manoscritto venne acquistato da Giuseppina Lucca, che costituì una commissione – formata da Bazzini, Dominiceti e Ponchielli – per sovrintendere al completamento dell’opera, affidato a Matteo Salvi, già allievo privato di Donizetti a Vienna; per l’occasione il libretto fu tradotto in italiano da Angelo Zanardini, che ridusse l’opera da cinque a quattro atti, e mutò il nome ai personaggi per evitare rimandi a I vespri siciliani di Verdi (Scribe aveva rielaborato il soggetto per quell’opera nel 1855, trasferendo l’azione nella Sicilia del XIII secolo). Salvi completò i recitativi e la strumentazione secondo il gusto coevo (l’orchestrazione di Donizetti comprendeva il primo atto e buona parte del secondo), inserì un’aria tratta da Il paria di Donizetti (Napoli 1829) e compose per il quarto atto l’aria di Marcello “Angelo casto e bel”, in sostituzione dell’originaria “Ange si pur”, che Donizetti aveva trasferito nella Favorite (1840); scrisse anche l’ouverture mancante (utilizzando la marcia funebre e il cantabile dal finale del terzo atto) ed espunse parte della terza scena del terzo atto. Nel 1959, per la prima ripresa moderna al Festival di Spoleto (regia di Luchino Visconti), il direttore Thomas Schippers compilò un nuovo restauro della partitura: la sua orchestrazione era più rispettosa dello stile donizettiano degli anni Quaranta, ma curiosamente non venne ripreso il libretto originario di Scribe; l’aria “Ange si pur” fu ricollocata nell’opera come “Spirto gentil”.

Bruxelles, 1573: i fiamminghi sono in fermento e tentano di ribellarsi contro l’occupazione spagnola. Nella piazza grande Daniele (Daniel nel libretto di Scribe), uno dei capi della rivolta, mostra ad Amelia (Hélèn) il punto in cui il duca d’Alba ha fatto decapitare il padre di lei, conte di Egmont. Al passaggio della lettiga del governatore Amelia rifiuta di inchinarsi; un soldato spagnolo la minaccia, e per scherno le intima di cantare in onore del duca d’Alba; ella invece intona un canto patriottico e i fiamminghi si rivoltano. Compare allora il duca, alla vista del quale i fiamminghi si acquietano impauriti; arriva anche Marcello (Henri), che narra a Daniele e Amelia di essere stato assolto inaspettatamente dal tribunale. Il duca lo interroga e lo invita ad arruolarsi nelle sue truppe; poiché egli rifiuta sdegnato, viene imprigionato. Ma Marcello, misteriosamente, è di nuovo rimesso in libertà; si reca allora nella birreria di Daniel, centro della cospirazione; là viene sorpreso dagli spagnoli, che confiscano armi e munizioni e arrestano tutti i cospiratori, tranne lui. Si reca allora dal duca a intercedere per i compagni, e scopre con raccapriccio di essere suo figlio illegittimo: solo se riconoscerà il duca come padre, questi avrà clemenza verso i cospiratori e l’amata Amelia; così egli cede e gli si inginocchia dinanzi. I patrioti vengono liberati, ma sospettano di tradimento Marcello. Amelia, benché innamorata di lui, gli chiede, come prova d’innocenza, di uccidere il duca; egli si rifiuta, svelandole che si tratta di suo padre, e Amelia lo respinge sdegnata. Quando, nel porto di Anversa, il duca d’Alba sta per lasciare il paese, Amelia gli si avvicina e tenta di pugnalarlo; Marcello si frappone tra i due e muore tra le braccia del padre, mentre intercede ancora una volta per l’amata.

Benché a sfondo politico, l’opera enfatizza soprattutto le situazioni tipiche del melodramma romantico. Bene accolta nel 1882, nonostante le polemiche precedenti derivate dai dubbi sul suo rifacimento, venne ripresa a Napoli, Bergamo, Torino, Malta e Barcellona; fu poi dimenticata, fino alla registrazione radiofonica del 1951 (direttore Previtali) e alla ripresa di Spoleto. La scrittura riflette l’arricchimento stilistico che derivò a Donizetti dall’accostamento all’ambiente parigino e dalle possibilità offerte dall’orchestra dell’Opéra; l’orchestrazione originale è ricca, l’armonia sottile e variata. Tra gli episodi più efficaci ricordiamo la scena della congiura nel secondo atto (inizia con un coro sommesso, costellato di cromatismi, e via via più maestoso, fino al giuramento e all’inno alla libertà, intonato da Marcello e ripreso dal coro) e il finale del terzo atto. Tra le pagine più intense spiccano la romanza “Ombra paterna” (Amelia), “Nei miei superbi gaudi” (duca d’Alba) e il coro “Liquor che inganna”; l’aria “Angelo casto e bel” (Marcello), composta da Salvi e divenuta il brano più celebre dell’opera, appare più superficialmente belcantistica. Il medesimo soggetto fu ripreso da Pacini ( Il duca d’Alba su libretto di Peruzzini e Piave, Venezia 1842); fu utilizzato anche da Beethoven ( Egmont ), da Vogel ( Thyl Claes, fils de Kolldrager ) e da Dallapiccola ( Il prigioniero ).

Type:

[Le Duc d’Albe] Opera in quattro atti

Author:

Gaetano Donizetti (1797-1848)

Subject:

libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier

First:

Roma, Teatro Apollo, 22 marzo 1882

Cast:

il duca d’Alba, governatore delle Fiandre in nome di Filippo II (Bar); Sandoval, capitano delle truppe spagnole (Bar); Carlos, ufficiale (T); Amelia di Egmont (S); Marcello di Bruges, giovane patriota fiammingo, suo innamorato (T); Daniele Brauer, patriot

Signature:

m.pe.

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