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GLASTONBURY 2000

Una festa pacifica lunga 72 ore. Sono accorsi in centomila a Glastonbury Festival: c’era di tutto, dai reperti post-hippie ai giovani dell’era globale che navigavano in Internet. Sette stage dove si sono alternati hip hop, post new-wave, rock classico, pop melodico… Worthy Farm, Pilton, Somerset UK 23-24-25 giugno 2000 Worthy Farm, Pilton, Somerset UK 23-24-25 giugno 2000 Più di 100 mila persone accorse da tutta Europa hanno affollato la mistica Valle di Avalon per l’edizione di inizio millennio del festival di Glastonbury. Relegata a una riserva la controcultura del flower-power (con tende indiane abitate da ?vecchi? hippies, nudità varie, stand di terapie alternative, simbolici totem costruiti con arbusti) e abbandonati gli anni caldi della protesta anti-tatcheriana, il festival dell’anno 2000 si presenta come una grande festa pacifica, allietata da colorati episodi di costume, da ottima musica, cibo e profumi di ogni nazionalità. A parte i pochi controlli contro le gozzoviglie fumogene, alcoliche e acide, e malgrado i banchetti promozionali di varie associazioni umanitaire e le litanie mantriche degli ?arancioni?, questa Taz improvvisata, estesa a un territorio che si perdeva a vista d’occhio, pareva una fiera folkloristica del mondo ?alternativo?, partorita all’insegna del cult inglese ?controllo-eccesso?. Per i tanti arrivati affamati di eventi culturali il festival ha saputo offrire un’abbuffata di cinema, teatro, cabaret, surfing in rete del villaggio globale e, soprattutto, di musica. Sui sette stage allestiti per l’occasione (tra cui il ?New-bands?, ?Jazz?, ?Dance?, ?Avalon? e ?Acoustic?) si sono alternate band più o meno famose e qualitativamente valide, scelte soprattutto nel prolifico sottobosco del mercato britannico. Ai delusi dall’assenza di Eagle Eye Cherry il venerdì ha regalato esaltanti performance dell’hip-hop crew Cypress-Hill , degli stoners californiani Fu Manchu , dello stralunato Elliot Smith ; il rock melodico dei Counting Crows e l’energia al vetriolo dei Methods Of Mayhem hanno condito il pomeriggio, mentre la serata ha danzato sull’esilarante sound di Moloko , Groove Armada , Moby e sulle alchemiche e arcinote misture dei Chemical Brothers ; l’inquietante Trent Reznor è apparso come un pipistrello notturno in un campo di fiori a chiudere una giornata affollata e intensa. Un assonnato sabato si è destato sulle ibride tonalità di Asian Dub Foundation (gli unici ad aver capito che cos’è ?the Real Great Britain?), sul pop elettronico di Soulwax e sull’ acid-jazz funkeggiante di Brand New Havies . Gli Animal House si sono esibiti backstage in versione acustica, mentre il rock ha regnato sovrano con i rollingstoniani Reef , i più scontati Wannadies e Ocean Colour Scene , con i sempre sorpendenti The Flaming Lips . Da segnalare la rinascita post new-wave degli Elastica , la dubbiosa acclamazione dei Travis , le prestigiose dance-bands e i dj-set che hanno scaldato la folla oceanica trasportandola in un’esilarante rave-trip: gli eterei Morcheeba , i frizzanti Bentley Rhythm Ace , i francesi Rinocerose , gli Artful Dodger senza Craig David e Fatboy Slim che si è lanciato in una rivisitazione ?wubba-wubba? del R&B anni Sessanta. I sopravvissuti della domenica hanno potuto omaggiare il passato con Willie Nelson ; rassserenarsi con il rock facile di Embrace , The For Carnation o con il pop melodico dei St Etienne ; pogare un poco con i Wilt ; ballare sui ritmi di The Herbaliser , Basement Jaxx , DJ Krush e sulla incredibile voce di Kelis ; rilassarsi con le atmosfere jazzate di Jazz Jamaica e Ronny Jordan . Non sono mancati i rappresentanti di quel suono tutto inglese sognante, dilatato e strampalato che ha visto nei Muse , Doves e in una The Beta Band in mimetica accompagnata da un MC jamaicano i suoi eccellenti alfieri. Ma le vere sorprese sono state i bravissimi, stonatissimi e acidi Dandy Warhols (direttamente dall’Oregon, che hanno letteralmente ipnotizzato con riff lisergici sporcati di un blues psihedelico da manuale) e il mitico David Bowie , che ha voluto festeggiare così i suoi trent’anni di carriera: «L’ultima volta che ho suonato a Glastonbury era il 1971, alle 5.30 del mattino e forse quei pochi presenti, se sono qua ora, potranno ricordarsi», ha detto un Duca Bianco in buona forma malgrado la laringite (sua moglie sta aspettando il loro primo figlio). Bowie ha cantato vecchi pezzi riarrangiati a lustro per l’occasione tra cui Changes> , Life On Mars , Ziggy Stardust , Ashes To Ashes , Rebel Rebel e quel Golden Years che pare essere tra i suoi brani preferiti. Peccato, il tour-de-force di tre giorni è già finito e tra i chilometri macinati da uno stage all’altro, le ore di sonno spese a esperire ogni aspetto del festival, resta un appagante senso di sazietà a conferma forse del fatto che gli eventi collettivi, quando sono tali riportano, seppur negli odierni limiti commerciali, ad ataviche atmosfere colme di gioia. (testo e foto di barbara volpi)

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