Archivio

Gli altri marchi

Una ricetta per uscire dall’anonimato per il vero motore del Made in Italy ecco gli altri marchi

Esiste una linea di demarcazione netta tra i marchi del lusso che costruiscono l’immaginario prossimo venturo e le cosiddette linee contemporary che di questo immaginario si nutrono prosperando e offrendo al mercato prodotti ad un prezzo inferiore ma di buona qualità.

In Italia, fuori o quasi dai riflettori mediatici, ci sono molti marchi di questo tipo. Basta sfogliare qualche rivista cartacea con un target molto ampio come Glamour, Elle o Marie Claire.

Ecco i nomi: Fornarina, Miss Sixty, Manila Grace, Liu Jo, Fixdesign, Toy G, Pinko, Elisabetta Franchi, Coccapani, Annarita N., Janet & Janet, Peserico, Anna Rachele, Luisa Spagnoli, Clips, Viadelleperle, Atos Lombardini, Liviana Conti, Twin-Set, Jo No Fui, Aniye By, Bea Yuk Mui, Angelo Marani, Massimo Rebecchi, Beatrice B, Malloni, Suoli.

Tutti questi marchi hanno in comune il fatto di avere un rapporto risolto con il mercato e di essere quindi imprese di successo ma di non essere stati in grado di costruire un’identità forte. Difficilmente qualcuno potrebbe distinguere un capo Annarita N. da un Manila Grace. E difficilmente qualcuno di questi marchi arriverà alla pagina 1 dei suddetti giornali.

Da un punto di vista imprenditoriale gli esempi sono però straordinari e raccontano tutti storie di duro lavoro, passione e capacità di comprensione del cliente.

Liu Jo nasce da un’idea dei fratelli Marco e Vannis Marchi che vivono nel distretto della maglieria di Carpi. A metà degli anni Novanta decidono di entrare nel mercato con una loro linea. Ad oggi Liu Jo ha declinato il marchio in quasi ogni tipologia di prodotto possibile attraverso una linea donna, uomo, jeans, underwear, scarpe, baby e taglie forti ed è passata da un fatturato annuo di 91 milioni di Euro nel 2005 ad un fatturato di 230 milioni di Euro nel 2010. Per fare un paragone comprensibile, più o meno gli stessi numeri di Yves Saint Laurent abbigliamento.
Liu Jo ha 190 punti vendita monomarca e 4.500 punti vendita multimarca in 33 Paesi. Il lato fragile del progetto, la brand awareness, è supportato nell’ultima campagna dal volto di Kate Moss. Probabilmente non la soluzione più efficace, vista l’ubiquità della modella.

Anche Elisabetta Franchi comincia negli anni Novanta la sua storia imprenditoriale. In un decennio riesce ad arrivare ad un fatturato di 90 milioni di euro e una sessantina di monomarca nel mondo. Il nome del brand è cambiato recentemente da Celyn B a Elisabetta Franchi per sottolineare il passaggio ad una dimensione più internazionale e quindi autoriale.

Pietro Negra e Cristina Rubini hanno creato, verso la fine degli anni Settanta, la Pinko che ad oggi ha 800 punti vendita e un fatturato che viaggia intorno ai 160 milioni di euro. Pinko ha cercato, attraverso una collaborazione con Mark Fast e poi con Alessandra Facchinetti, di superare il gap tra questo tipo di marchi e i brand del lusso.

L’approccio, per tutti, è orientato al prodotto, non alla costruzione di un’identità né alla sua comunicazione. O almeno lo è sempre stato fino ad oggi.
La fortissima crisi dei marchi tradizionali sta  favorendo un passaggio di testimone in direzione di progetti sensibili alle valenze economiche e al tempo stesso creativi. L’anima vera del Made in Italy è sempre stata la capacità di confrontarsi con il mercato mantenendo viva l’idea di innovazione. A questo incredibile e sanissimo segmento manca solo il coraggio di affidarsi in maniera dichiarata a giovani designer, magari italiani, che riescano a rendere identificabile il prodotto e a catalizzare l’interesse della stampa. Un piccolo passo verso la creazione di veri e propri brand.

Cosa state aspettando? Nel calendario di Milano Collezioni Donna ci sono sempre più buchi liberi.

Vuoi ricevere Mam-e direttamente nella tua casella di posta? Iscriviti alla Newsletter, ti manderemo un’email a settimana con il meglio del nostro Magazine.

CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ!