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Il nascondiglio: intervista a Pupi Avati e Laura Morante

Il regista e l’attrice raccontano il nuovo thriller ambientato nello Iowa Pupi Avati è il regista de Il nascondiglio

Come si sviluppa il racconto?
“Sedotta da un edificio di inquietante bellezza, la protagonista ritiene di poter investire tutte le sue energie e la sua professionalità nell’avvio di questa nuova attività (un ristorante) che la coinvolgerà a tal punto da farle rimuovere i dolorosissimi incubi che l’hanno accompagnata nel lungo decorso della sua malattia. Progetto totalmente illusorio, in quanto proprio quella casa la precipiterà nuovamente in una vicenda che solo apparentemente non la riguarderà e che diventerà per lei parimenti terribile. La storia credo rispetti nei suoi ingredienti essenziali il genere al quale e’ riconducibile: abbiamo infatti fin dall’inizio un antefatto oscuro, una protagonista apparentemente fragile, vulnerabile, fortemente suggestionabile, nella quale gran parte degli spettatori possono identificarsi e una casa oltremodo tenebrosa: la combinazione di questi elementi spesso abusati viene proposta attraverso un percorso narrativo originale e, mi auguro, nella sua conclusione, imprevedibile. Un altro elemento che connota fortemente il genere e’ l’implausibilità della protagonista che non solo non viene creduta per ciò che vede e per quello che via via va scoprendo ma dubita lei stessa per buona parte del racconto di essere vittima di allucinazioni”.

Sarà un film pieno di angosce, paure, brividi: su quali basi nascerà la suspence?
“Prima in fase di scrittura e poi durante le riprese abbiamo cercato di privilegiare le atmosfere avendo come riferimento altre nostre incursioni precedenti nel genere. Ne Il nascondiglio la storia, le vicende, le inquietudini, i sospetti, che via via raggiungono Laura – apparentemente del tutto immotivati ma che nel corso della storia si confermeranno fondati- obbediscono ad una tensione drammaturgica assolutamente non pretestuosa. Sono convinto che solo così il passaggio della nostra protagonista da uno stato di inquietudine, ad uno di paura e quindi ad uno di assoluto terrore possa essere condiviso dallo spettatore”..

Come mai ha scelto Laura Morante?
“Se si eccettua forse solo il caso di Mariangela Melato in”Aiutami a sognare” è la prima volta che in un mio film il ruolo principale e’ affidato ad una donna in una maniera così netta. Ho sempre pensato che in tutti i film in cui l’ho vista Laura avesse sempre apportato attraverso le sue interpretazioni un valore aggiunto alla verosimiglianza delle varie storie, grazie alla sua capacità di emozionarsi e quindi di emozionarci. Credo che poche attrici italiane avrebbero potuto interpertare con altrettanta credibilità un ruolo così articolato: fin dal nostro primo incontro le chiesi se se la sarebbe sentita di essere presente in ogni sequenza, e per di più trovandosi a recitare con attori che spesso non parlavano la nostra lingua. E’ evidente che a questa prova di Laura io debba molto e alla luce di questa nostra esperienza appena conclusa – che considero straordinariamente positiva – non saprei davvero dire chi se non lei avrebbe potuto vivere in modo così credibile una vicenda che, pur iniziando totalmente inserita nel quotidiano, via via si avvicina ad un baratro senza fine per poi precipitarvi…”

Come entrano in scena gli altri personaggi e chi li interpreta?
“I personaggi principali di questa storia che e’ totalmente incentrata sulla protagonista sono stati creati per aggiungere verosimiglianza al mondo in cui Laura si muove e sono i necessari interlocutori che lei incontra, da un agente immobiliare estroverso ed inaffidabile (Burt Young), ad un sacerdote grande conoscitore dei potentati locali (Treat Williams), ad una sedicente studiosa di vicende criminose (Rita Tushingham), ad un’avvocatessa rancorosa (Yvonne Scio’). Per quanto riguarda la parte italiana abbiamo poi avuto la fortuna di poter coinvolgere anche Venantino Venantini, Angela Gooodwin, Marina Ninchi, Sydne Rome, Angela Pagano, Francesco Carnelutti e tanti altri ottimi interpreti.

Non e’ la prima volta che lei e suo fratello Antonio frequentate il Midwest americano per raccontare una vostra storia..
“Si, il nostro rapporto con Davenport e lo Iowa- dove il film e’ ambientato- risale al 1990, epoca delle riprese di “Bix” e del restauro compiuto dallo straordinario architetto Carlo Simi della casa natale del grande musicista jazz da noi raccontato, Bix Beiderbecke, che oggi e’ meta di pellegrinaggio degli appassionati di tutto il mondo. Da allora, sia attraverso film miei, sia attraverso altri di nostra produzione, abbiamo raccontato una mezza dozzina di storie e Davenport e lo stato dello Iowa si sono trasformati nella mia seconda Emilia: la nostalgia che a volte provo per l’Appennino tosco-emiliano e’ equivalente ormai alla voglia di tornare tra quei campi di granturco che costeggiano il Mississipi. Se questa vicenda non e’ ambientata in Italia e’ per produrre quel grande, indispensabile isolamento sul quale narrativamente dovevo contare. Tuttavia l’America in cui si svolge questo racconto e’ del tutto comparabile all’Emilia de La casa dalle finestre che ridono e di Zeder: ancora una volta e’ in un piccolo contesto provinciale che si volge una vicenda assolutamente inquietante In questo caso inoltre per la prima volta abbiamo suddiviso le riprese in esterni (tutte negli Stati Uniti) a quelle in interni a Cinecittà, riuscendo ad amalgamare, con una continuità di cui possiamo andare orgogliosi, situazioni che sono contigue sullo schermo ma che nella realtà sono distanti una dall’altra. Ancora una volta girare a Cinecittà ha prodotto in
me una duplice sensazione di gratificazione e di rabbia: mi sono trovato infatti a verificare la straordinaria capacità dei costruttori e di tutti reparti tecnici degli studios ma anche ad avvertire tuttavia di essere il solo all’interno di quel contesto a realizzare un film, circondato com’ero soltanto da produzioni televisive..”

Laura Morante

Come è stata coinvolta in questo progetto?
“Sono stata subito lusingata dal fatto che Pupi Avati abbia pensato a me per il ruolo della
protagonista di questa storia e divertita dal fatto che si sarebbe trattato di un thriller e quando Pupi mi ha fatto leggere il copione ne sono stata entusiasta. In questa storia piena di mistero che rientra nel suo filone “gotico” Pupi è riuscito a creare perfettamente l’atmosfera di una cittadina americana in apparenza sonnolenta dove strada facendo la versione delle cose viene deformata, ho trovato subito molto interessante e insolita la descrizione di un luogo idilliaco con i campi di granturco, le villette a schiera, le casette di legno, il giardino sulla strada e il barbecue nel retro dove, un po’ come in Blue Velvet di David Lynch, tutto sembra perfetto ed in apparente armonia, salvo poi scoprire che la cordialità di facciata nasconde minacce, che dietro certi dettagli si muovono ombre inquietanti e che quasi tutti i personaggi non sono mai davvero quello che sembrano”.

Cosa c’e’ di interessante nella donna che interpreta?
“Mi ha colpito positivamente innanzitutto la scommessa del regista di costruire il personaggio direttamente su di me, puntando su un ruolo femminile importante e complesso, il che rappresenta qualcosa di estremamente raro nel cinema di oggi. Si tratta di una vedova che con un po’ di apprensione si lancia nell’impresa di aprire un ristorante italiano ma porta con sé dei misteri una volta dichiarata guarita dopo 15 anni trascorsi in una clinica psichiatrica perchè mostrava fenomeni di schizofrenia e sentiva delle voci inquietanti”.

E’ la prima volta che le capita di recitare in un thriller?
“Si, e la cosa mi è sembrata subito divertente perché il thriller classico nei suoi aspetti più riusciti secondo me presenta sempre degli aspetti umoristici: quando si riesce a pensare e mantenere un certo equilibrio tra ironia, sorriso e paura, si trova un modo per far riprendere fiato al pubblico, e’ un elemento interessante che non attenua la tensione ma permette allo spettatore di fermarsi temporaneamente per poi ripartire: in tutto questo non c’e’ contraddizione, un maestro in questo genere di cose è stato Hitchcock che nei suoi film è stato quasi sempre capace di spaventare e fare anche sorridere. Mi ha colpito molto inoltre il fatto che quando siamo arrivati a Davenport per girare la cittadina ci era sembrata tranquilla, accogliente e cordiale ma appena abbiamo cercato di curiosare qua e là ci hanno subito raccomandato di evitare certe strade perché il giorno prima era stato commesso un delitto..”

C’è stata una creatività comune sul set?
“Non saprei, quando giravamo siamo rimasti fedeli al copione e a poco a poco io e Pupi abbiamo tagliato certe scene di comune accordo ma era lui solo ad avere chiarissimo in mente il quadro generale, tanto è vero quando ho visto il film finito mi sono sorpresa a notare come mentre quando giravo credevo che il mio personaggio stesse guardando una certa cosa nel montaggio finale invece ho scoperto che ne stava vedendo un’ altra… Il risultato del film credo sia una sintesi tra le mie intenzioni di persona che leggeva la vicenda come un giallo psicologico e quella del regista che protendeva più verso il thriller classico..”

Che cosa le è piaciuto di più del periodo della lavorazione ?
“Uno dei meriti del film e’ nel poter contare su un cast interessante di bravissimi attori, americani e non, che ho però incontrato in scena per brevi periodi, dato che il mio personaggio e’ spesso solo. E’ stato molto piacevole collaborare con una troupe che metteva grande entusiasmo nel lavoro e lo è stato anche ritornare per un mese e mezzo a recitare negli Stati Uniti dove avevo girato una sola volta diversi anni fa per pochi giorni con Jean-Louis Trintignant un film di Alaan Tanner intitolato
La valle fantome

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