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Intervista a Walter Baldi

Artisti, mode, mercato: il punto di vista del collezionista

Devoto collezionista d’arte moderna, un po’ più diffidente verso l’arte contemporanea, Walter Baldi ci parla della sua collezione e dà alcuni consigli pratici su come diventare un buon collezionista. L’intervista è il risultato di due incontri tra la collaboratrice di Sullarte.it e il collezionista: il primo è avvenuto a Novembre del 2007, e un aggiornamento riguardo le ultime questioni sull’attualità dell’arte proprio nelle ultime settimane.

Francesca Testoni: Mi parli un po’ della sua collezione d’arte e dei suoi gusti personali.
Walter Baldi: Mi piace l’arte realizzata dopo la seconda guerra mondiale, ma possiedo anche qualcosa di precedente. In particolare il concettuale, l’informale, l’arte minimal, senza arrivare all’arte ultra contemporanea, perché penso sia meglio aspettare che si storicizzi qualcosa. Per arte ultra contemporanea intendo chi fa arte adesso e ha trenta – quarant’anni, ma già compare nelle aste internazionali con prezzi comparabili a quelli di Fontana o Burri. Mi sembra un’esagerazione e credo che solo il tempo metterà un po’ d’ordine. Il mio artista preferito è Boetti, di cui ho alcuni lavori. Possiedo anche una scatoletta di Manzoni – una "Merda d’artista". Tendo anche ad acquistare artisti internazionali che spaziano nelle varie tendenze dell’arte contemporanea, differenziandomi da collezionisti che si concentrano su un’unica tendenza. Secondo me, tutta l’arte contemporanea è interessante, chiaramente bisogna saper scegliere le cose più importanti.

F.T: Quando e perché ha iniziato a collezionare arte?
W.B: Ho iniziato perché a fianco del mio studio dentistico, nel 1989-90 c’era una galleria che mi fece "ammalare" di questa passione. A quei tempi ero assolutamente ignorante di arte. Le prime mostre che vidi in galleria furono Turcato e Dova, non comprai nessuna opera di questi due artisti, ma mi si aprirono gli occhi.

F.T: A cosa serve l’arte? E cos’è per lei l’arte?
W.B: L’arte è la più alta espressione umana. L’arte è ciò che differenzia l’uomo, ciò che ha permesso lo sviluppo del gusto, della mente, della civiltà. Infatti, ciò che è rimasto delle civiltà antiche sono gli oggetti d’arte e il valore che diamo a queste civiltà si basa proprio sugli oggetti che ci hanno lasciato. Io colleziono anche arte africana. Per me l’arte contemporanea è un’apertura mentale straordinaria, è uno stimolo per il cervello, l’occhio, il gusto, non solo finalizzata al collezionismo. Fare il collezionista è un antistress, anche se è come avere un secondo lavoro. Come vede ho il computer sempre connesso su mostre, aste, per aggiornarmi continuamente.

F.T: Acquista opere diverse o le capita di acquistare anche più opere di uno stesso artista?
W.B: Tendo ad avere opere diverse, cercando di comprare l’opera più significativa di un particolare periodo di un artista, ma faccio alcune eccezioni. Per esempio di Boetti e di Agnetti ho parecchie opere. Agnetti è un artista ancora sottovalutato, ma straordinario. E’ stato quasi dimenticato, anche per problemi di successione ereditaria. Credo molto in lui, e quello di suo che mi capita di comprare lo tengo, anche perché costa ancora relativamente poco. Ovviamente, un collezionista valuta anche il problema economico. Ho comprato gli arazzi di Boetti quando ancora costavano settecentomila lire perché all’epoca credevo in lui. Attualmente, Agnetti costa come un giovane, però ha una sua storia ed è stato una figura eccezionale nell’arte concettuale italiana. E la storia mi ha dato ragione.

F.T: Cosa deve avere un artista per colpirla?
W.B: Innanzitutto un artista deve essere unico, deve avere un segno riconoscibile. Ovviamente deve aver detto qualcosa di nuovo, deve aver portato delle novità, questo significa che sarà un artista che rimarrà nella storia. Tanto più un artista è imitato dai giovani dopo di lui, tanto più è importante.

F.T: In un’intervista, la gallerista Claudia Gian Ferrari ha dichiarato che le collezioni d’oggi sembrano più un catalogo di una casa d’asta, perché mancano di un’anima e contengono solo ciò che va di moda. Cosa mi dice a proposito della sua collezione?
W.B: Dico che la mia è una collezione tutt’altro che alla moda. Io detesto gli artisti alla moda e non li comprerò mai. Se per collezione simile ad un catalogo s’intendono opere degne di stare in un catalogo d’asta internazionale, allora penso che sia il fine e il sogno di ogni collezionista. Se invece modaiola significa avere gli artisti cinesi, i tedeschi di Berlino, gli indiani perché vanno di moda sul mercato, questa è una follia che lascio volentieri agli altri. Io ho un altro parametro di scelta, quello della storia. Per questo preferisco comprare Agnetti le cui opere importanti costano dai 2.000 ai 5.000 Euro, piuttosto che Luca Pignatelli o Giovanni Frangi che costano dai 10.000 ai 20.000 Euro e sono convinto che non rimarranno nella storia.

F.T: Si affida a persone di fiducia che la consigliano? Quali sono i mezzi che utilizza per valutare il lavoro e la qualità di un artista di cui è intenzionato ad acquistare un’opera?
W.B: Fare seriamente il collezionista è come fare un secondo lavoro. Bisogna conoscere i risultati d’asta perché i soldi sono quelli che sono, e se si ha un budget bisogna cercare di investirlo bene. Investimento è inteso nel senso di acquistare un artista ad una certa cifra, sperando che nel giro di alcuni anni questo aumenterà il suo valore e non cambi mestiere. Non penso sia così importante avere dei consiglieri, perché un collezionista deve arrivare ad avere una sua autonomia di giudizio. Un collezionista può definirsi tale quando decide lui cosa comprare, valutando tutti i parametri nella scelta di un’opera, compreso il rapporto qualità – prezzo. Se devo ringraziare qualcuno ringrazio una persona che mi ha insegnato molto, Franco Toselli, un amico che mi ha trasmesso molto della sua sensibilità per l’arte. Quando scelgo, non chiedo consiglio a nessuno perché i grandi errori nel collezionismo li ho fatti seguendo i consigli di qualche gallerista e mercante. In passato ho seguito il consiglio di alcuni galleristi che mi hanno sconsigliato di comprare certe opere e ora, col senno di poi, se penso a quello che non ho comprato, mi mangio le mani. Quindi, decido da solo. Compro poco nelle gallerie, così come nelle aste, dove i prezzi hanno raggiunto cifre folli. Compro direttamente da collezionisti o da mercanti, anche perché le opere di galleristi passate in asta hanno un ricarico di prezzo fino al 50%. Nelle aste le opere importanti fanno cifre impossibili.

F.T: Ci sono alcuni giovani artisti del mercato contemporaneo che le interessano e considera validi?
W.B: Essere giovane, nel sistema di adesso, vuol dire sfondare a venticinque -trent’anni. Che cosa c’è da scoprire anche dal punto di vista economico? Quando un giovane di trent’anni vince il premio Cairo – un premio che di certo non è il Turner Prize – e da lì in poi le sue opere costano 10.000 euro cosa si vuole scoprire? Uno che a trent’anni costa 10.000 euro, ma nessuno conosce fuori dai confini nazionali? I margini di scoperta di giovani artisti sono minimi perché c’è un sistema molto attento e radicato sul territorio. Penso che invece, ci siano molti artisti da riscoprire. Ci sono ancora molti artisti che costano poco, questo non significa che valgano poco dal punto di vista economico, ma semplicemente, magari, si sono perse le loro tracce, o sono poco considerati nonostante abbiano una storia importante, sicuramente più del vincitore del premio Cairo. Albers fino a cinque anni fa costava come Dorazio, ma nella storia dell’arte Albers è più importante di Dorazio. Ora Albers costa dieci volte più di Dorazio. Penso ad Albers, ma anche ad Agnetti o Boetti, che fino a cinque anni fa non era considerato da nessuno. Adesso ha i prezzi che si merita. Oggi il mondo è pieno di gente ricca consigliata più o meno male, che per status symbol fa delle scelte che non fanno parte della mia filosofia di collezionista.

F.T: Frequenta e acquista nelle fiere?
W.B: Vado a Basilea perché è come un grande museo dove si vedono delle cose straordinarie, però non chiedo nemmeno i prezzi, perché ogni volta rimango allibito. I galleristi poi, fanno fatica a dirmeli perché mi vedono un po’ conciato nel look e pensano che sia uno che fa perder tempo. Comunque non è possibile che ci siano fiere d’arte contemporanea ogni fine settimana: Verona, Padova, Brescia… Ormai c’è una fiera per ogni paese, è un’esagerazione, non ha senso, si disperde tutto quanto.

F.T: Secondo lei oggi chi ha maggior potere nel determinare il successo di un artista?
W.B: Dipende quale tipo di successo. Il successo a breve sicuramente le grandi gallerie. Un artista che finisce nelle mani di Gagosian, d’Offey, Paola Cooper o Lisson Gallery entra nell’orbita di galleristi che riescono a trasformare in oro tutto quello che toccano.
Per un artista però, il vero successo è finire sui libri di storia dell’arte e per libro di storia dell’arte non intendo Art Now della Taschen. Il successo vero è quello duraturo. E’ chiaro che se fossi un artista, vivrei il momento, cosa mi interessa finire su un libro di storia dell’arte quando posso avere i soldi, il successo, le donne e la gloria adesso? Questo atteggiamento è dispersivo perché un artista che trova subito la macchinetta per fare i soldi rischia di fossilizzarsi su uno stesso lavoro. Mi viene in mente la Beecroft, considerata star internazionale, che ha continuato a fotografare donne nude. Insomma, queste donne le può girare e rigirare nelle mille posizioni del kamasutra, ma sono sempre donne nude.

F.T: Oggi l’attenzione si è spostata dal lavoro dell’artista all’artista come star. Quando la personalità ha cominciato a diventare così importante?
W.B: Condivido l’idea. Koons, Cattelan, Hirst sono persone estremamente intelligenti che hanno capito come fare l’artista oggi. Oltretutto sono anche degli artisti straordinari perché hanno la capacità artistica di leggere il proprio tempo associato anche ad ottime capacità di marketing e proposizione di se stessi. Se Cattelan costasse 1/10 di quello che costa lo comprerei, come del resto Koons o Hirst. Sono artisti che non hanno nulla da togliere ai grandi e che rimarranno nella storia. Ma non si può comprare La Nona ora, il papa tramortito da un meteorite pagandola 2,5 milioni di euro o la Pharmacy di Hirst a 5 milioni. A quel punto, da collezionista dico che c’è qualcosa che non torna perché, con quella cifra, fino a due anni fa compravo un Bacon straordinario o La fine di Dio di Fontana. Sono opere che avranno un valore nella storia molto più alto della Nona ora di Cattelan. C’è un altro fattore da considerare: stiamo parlando di artisti viventi, che hanno quarant’anni e che, a differenza dei grandi della storia, continuano a produrre secondo un cliché abbastanza definito. Hirst continua a fare le farmacie, le farfalle, i puntini. Per questo è difficile pensare che il sistema possa reggere. Hanno davanti una vita di produzione e per la legge della domanda e dell’offerta non si sa per quanto ancora potranno reggere questi prezzi. Se voglio La fine di Dio di Fontana so che in circolazione ce ne sono una ventina, di cui diciotto nei musei e due nelle mani di collezionisti che non li venderebbero nemmeno per dieci milioni di euro. Se voglio un’opera di Cattelan vado da De Carlo e mi faccio fare l’opera da Cattelan. C’è differenza: c’è meno poesia, meno fascino del cercare e trovare le cose. Fare il collezionista è anche un gioco, una caccia al tesoro, una sfida. E’ interessante capire dove trovare l’opera e tentare di comprarla ad una cifra interessante. Andare in asta, alzare la mano e firmare un assegno, è una cosa di cui sono capaci tutti, basta avere i soldi.

F.T: L’arte contemporanea va di moda?
W.B: Sì, purtroppo nel senso peggiore del termine. Le racconto un aneddoto: dieci anni fa, alcuni amici che lavorano nel campo della moda, videro e ammirarono a casa mia un arazzo di Boetti, e mi chiesero di aiutarli a trovarne uno. Trovato, dopo due giorni che l’avevano a casa, la moglie decise di non comprarlo perché il giallo non si abbinava con le tende di casa. A quel tempo gli arazzi costavano tre – quattro milioni di lire. Dopo dieci anni gli stessi amici hanno voluto acquistare un arazzo di Boetti, pagandolo il triplo, perché hanno capito quello che vale e perché vedono le sue opere sulle riviste di moda, o a casa degli amici. Essendo l’arte di moda, c’è un sacco di gente coi soldi che compra senza neanche sapere il perché, causando la salita dei prezzi e sfavorendo i collezionisti come me.

F.T: Le è mai capitato di rivendere un’opera della sua collezione?
W.B: Certo, uno rivende un quadro perché non gli piace più, o per avere i soldi per comprarne uno più importante. Alcuni quadri però sono per me invendibili. Io divido le mie opere in collezione permanente e collezione temporanea. La collezione permanente non uscirà mai di casa, nonostante ci siano galleristi che sbavano su determinate opere. Se ho dieci Boetti, alla fine ne terrò due, i più importanti.

F.T: Il nome dell’artista è divenuto più importante dell’opera stessa. È la firma dell’artista a definire un’opera come tale. Cosa ne pensa?
W.B: E’ colpa del collezionista. Siccome tutti vorrebbero avere un Picasso, ma oggi un Picasso bello se lo può permettere solo Pinault, è facile cadere nella tentazione di avere la firma piuttosto che l’opera di per sé. È difficile resistere a questa tentazione. Anche io ho un disegno di Mirò grande 15x20cm, ma non posso certo di dire di avere "un Mirò" in collezione.
Credo che per un collezionista sia apprezzabile comprare opere importanti di un artista ancora da scoprire. Si impara a fare il collezionista con gli anni, anche compiendo molti errori. È per questo, che poi si rivendono alcune opere. Appaga molto di più l’opera di un artista minore che poi viene scoperto, rispetto ad un artista già conosciuto.

F.T: Pensa che la recente crisi economica intaccherà il mercato dell’arte? Secondo alcuni la crisi fungerà da utile strumento selettivo. E pensa che l’arte sia ancora un buon investimento?
W.B: Penso che la crisi sia assolutamente salutare. È tornato il momento di comprare alcuni artisti che erano saliti troppo e che erano diventati incomprabili. Sono riuscito ad acquisire un’opera importante di uno dei miei artisti favoriti facendo un’offerta al ribasso su un invenduto di un’asta.
Rimango convinto che l’arte rimanga un buon investimento solo se accompagnata da un alto livello di conoscenza non solo culturale ma anche delle regole del mercato.

F.T: Su quale artista italiano contemporaneo emergente punterebbe oggi?
W.B: Non mi sento di scommettere su un settore che non conosco e soggetto a troppe variabili. Provocatoriamente direi De Dominicis.

F.T: Un consiglio per diventare un bravo collezionista?
W.B: Il consiglio dovrebbe darlo un bravo collezionista. Io direi studiare, vedere, meditare.

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