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La mia favola a Manhattan. Intervista ad Alberto Ferreras

Lo scrittore di origine venezuelana, vincitore del Latin Book Award, parla del suo romanzo, uno dei bestseller dell’estate 2012

Bella Zavala preferisce farsi chiamare solo B, perché il suo nome, accostato al fisico abbondante, le sembra un controsenso. Poiché di mestiere fa la copywriter in un’agenzia di pubblicità, conosce bene il potere delle parole e preferisce starne alla larga. A Manhattan, poi, essere magre e in forma è quasi un obbligo morale. Comincia così Una favola a Manhattan, l’opera prima di Alberto Ferreras, che si è aggiudicata l’International Latin Book Award nel 2010, pubblicata in Italia da Baldini & Castoldi (304 pagine, 9,90 euro). Ferreras, di origine venezuelana ma trasferitosi a New York, dal 1990 lavora come sceneggiatore e produttore televisivo. Tra l’altro, è autore del serial Habla, trasmesso dal canale HBO Latino. Talento poliedrico, si occupa anche di pubblicità e compone canzoni: sua è la versione in spagnolo di What It Feels Like For A Girl di Madonna. Lo abbiamo intervistato.

Il personaggio principale del suo romanzo è una copywriter con problemi di peso che fatica ad accettarsi. Le cose cominciano ad andare meglio solo in seguito all’approvazione che le viene da altre persone. È più importante accettarsi o essere accettati?
Alcuni anni fa presi parte a una performance artistica a New York intitolata Ask Dr Truth (Chiedi al Dottor Verità). Si svolgeva così: mi sistemavo all’interno di una galleria d’arte o ad una mostra e per due ore promettevo a chiunque che avrei risposto onestamente a qualunque domanda. La gente mi poneva quesiti del tipo: “Mi puzza l’alito?”, oppure “Secondo te indosso un toupee?”. Era un gioco, ma fui sorpreso dal fatto che nove donne su dieci mi facessero sempre la stessa domanda: “Ti sembra grassa?”. La maggior parte di loro non lo era, eppure non volevano credermi quando glielo dicevo. Io penso che l’essere umano sia un animale sociale: vogliamo tutti essere ben voluti  e coccolati. Quando però i media ti convincono che il tuo corpo, magari un po’ sovrappeso, è “inaccettabile”, ti prende il terrore di non farcela, di non essere “all’altezza”. Se poi questa paura ti si ficca in testa e non riesci a liberartene, allora potrai anche avere un corpo perfetto, ma ciò che vedrai riflesso nello specchio sarà solo un mucchio di difetti fisici. Ma se non ci accettiamo per come siamo, sarà difficile che altri possano accostarsi a noi, sia a livello fisico che psicologico.

Il romanzo le è stato ispirato da una vicenda realmente accaduta o si tratta di pura fiction?
Può crederci o no, ma Una favola a Manhattan è stato ispirato da un fatto realmente accaduto a una mia amica. Lei è una bellissima ragazza formosa. Un giorno incontrò una donna russa in un ufficio pubblico che le disse: “Con un fisico come il tuo potresti fare un mucchio di soldi. Chiamami e ti metterò  in contatto con persone disposte a farti diventare ricca”. La mia amica non chiamò, ma io pensai: se l’avesse fatto? Cosa succederebbe se una donna che non apprezza il proprio fisico scoprisse al contrario che alcuni uomini sarebbero addirittura disposti a pagare per stare con lei? Come cambierebbe la sua vita e la sua opinione sul suo aspetto fisico? Così è nato il romanzo. Daisy Fuentes (conduttrice televisiva statunitense, la prima veejay di Mtv di origini latino-americane. N.d.T.) ne ha parlato come di un libro “totalmente d’evasione eppure stranamente realistico”. Ciò, a mio avviso, dipende dal fatto che al di là delle situazioni talvolta assurde che vi sono descritte, sotto sotto sappiamo che potrebbero accadere davvero.

È stato complicato per lei scrivere una storia dal punto di vista di una donna?
Sì e no. Il fatto che io sia gay probabilmente mi ha un po’ facilitato il compito, rendendomi possibile entrare in contatto con il mondo femminile, vedere le cose dal loro punto di vista e valutare i rapporti interpersonali con una sensibilità affine alla loro. Penso che le donne oggi siano continuamente sotto pressione, più degli uomini. Devono essere brave lavoratrici, brave mogli e madri modello per i figli. Le ammiro molto e credo che il libro sia in fondo un tributo a tutte le donne meravigliose che ho conosciuto in vita mia. A cominciare da mia madre.

Quali sono state le reazioni del pubblico statunitense alla pubblicazione del libro?
Devo dire che mi ritengo davvero fortunato perché la risposta dei lettori è stata subito molto positiva: tutte le recensioni erano favorevoli, a partire da quella pubblicata su Publisher’s Weekly. Poi il libro si è aggiudicato l’International Latin Book Award. Ma devo dire che la reazione che mi ha fatto più piacere è stata quella del Web. I blogger hanno subito mostrato di comprendere come  il romanzo non fosse centrato sul problema del peso, bensì su quanto sia sciocco pensare “non ce la posso fare”. Alla base, c’è  il senso di insicurezza che ci preclude la possibilità di essere amati per come siamo. Il dilemma di B potrebbe essere lo stesso di ogni uomo o donna che si sente inferiore solo perché non assomiglia ai modelli che vede in copertina nei magazine.

Quindi secondo lei, le immagini patinate della moda possono contribuire alla sua diffusione. Come fare per non restarne vittime?
Un paio di anni fa negli Usa trasmettevano un terrificante reality dove prendevano delle normali casalinghe e le trasformavano in modelle. Cambiavano il loro aspetto fisico, i connotati, in qualche caso persino la dentatura. Al termine venivano riportate a casa e mostrate ai familiari, con l’effetto sorpresa che potete immaginare. Peccato che quando i figli rivedevano le loro mamme così diverse, cominciavano a piangere a dirotto, perché non le riconoscevano più. Mi domando come mai ci dimentichiamo tanto spesso del fatto che, quando vuoi bene veramente a qualcuno, finisci per considerare belli perfino i suoi difetti: non importa se ha il naso troppo lungo, il seno troppo piccolo o i peli sulla schiena. Penso insomma che sia giusto prendersi cura del proprio aspetto fisico, ma per volere e volersi bene, non per farsi del male.

Lei è giornalista, sceneggiatore, scrittore e persino autore di canzoni. Qual è la sua passione principale e… Come trova il tempo per tutto?
Credo di essere una persona molto fortunata, perché il mio lavoro coincide col mio hobby preferito. In qualche misura, perciò, tutto ciò che faccio risulta collegato, sia quando mi occupo di comunicazione, sia quando scrivo le mie storie. Inoltre, il fatto di avere a che fare con modalità espressive diverse mi offre meravigliose opportunità. Dopo aver trascorso magari tre mesi a scrivere una sceneggiatura ed esserne uscito distrutto, posso sempre ritemprarmi lavorando a una campagna pubblicitaria, oppure a un nuovo romanzo. E poi, sono convinto che la narrativa si stia evolvendo. Non abbiamo più tempo per restare concentrati a lungo su un argomento, ci siamo abituati alla velocità dei film e dei videogame. Per me, essere in grado di raccontare storie ricorrendo a diversi formati rappresenta quindi un’opportunità per raggiungere il pubblico a vari livelli. Infine, spero che ciò alla lunga faccia di me uno scrittore migliore!

Un’ultima domanda: qual è, se esiste, la donna ideale?
La mia donna ideale è quella che va fiera del proprio corpo. Solo così può sedurre e far innamorare perdutamente di sé. Donne come Anna Magnani o Giulietta Masina non erano certo le più belle nei film che interpretavano, ma possedevano un luccichio particolare, una consapevolezza del proprio talento e una capacità quasi ipnotica che altre attrici, magari più belle ma certamente più insicure, non avevano. Trovo che sia fantastico incontrare persone che si vogliono bene. Non importa che taglia portano.

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