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Lettera d’amore a Stalin

È il provocatorio titolo della pièce scritta da Juan Mayorga in scena a Napoli, diretta da Tommaso Tuzzoli. Parte da una frase di Adorno, “Sono soltanto animali” lo spettacolo sulla Shoa in scena a Modena

Negli anni Trenta, uno dei più illustri perseguitati dallo stalinismo fu il grande scrittore Michail Bulgakov. L’autore del Maestro e Margherita, di fronte a un regime che tentava di soffocare la sua voce, scrisse direttamente allo stesso Stalin, che gli rispose proponendogli un incontro. Attorno a questo storico episodio, che rispecchia gli inquieti rapporti tra arte e potere, ruota un  testo del più importante drammaturgo spagnolo di oggi, Juan Mayorga: Lettera d’amore a Stalin è in scena fino a domenica 25 alla Sala Assoli di Napoli, per la regia di Tommaso Tuzzoli.

Ricavato dalle testimonianze dei sopravvissuti, dai diari, dagli atti giudiziari, Sono soltanto animali – la frase è di Theodor Adorno – ritorna sugli orrori della Shoa, ma in una chiave insolita: la scena è infatti divisa in due parti, da un lato lo spazio vuoto del presente, dall’altro un passato popolato di fantasmi della storia. E l’attore Antonio Tintis, che dà voce alle sei presenze del testo di Luciano Colavero e Federico Oliva, passa dall’uno all’altro ponendo in relazione gli incubi di ieri con le nostre responsabilità di oggi. Fino al 9 dicembre al Teatro delle Passioni di Modena.

Quando c’è di mezzo Paolo Rossi, è praticamente inutile chiedersi cosa sarà lo spettacolo, perché invariabilmente lo spettacolo è lui, e tutto il resto non è che un corollario. In L’amore è un cane blu l’attore, accompagnato dalle musiche di Emanuele Dell’Aquila, parte da un tema – quello del declino delle passioni sia private che politiche – in un’epoca di straordinario smarrimento: e infatti il protagonista metaforicamente si smarrisce sul natio Altopiano del Carso, per ritrovare nella memoria il filo dei propri sentimenti. Da venerdì 23 a domenica 25 alla Corte Ospitale di Rubiera.

Poche vicende riescono, come quelle dello sport, a raccontare un’epoca, a farsi emblema delle contraddizioni di una società. E poche figure dello sport hanno avuto, come Marco Pantani, la statura di un autentico eroe tragico. Lo sventurato campione del ciclismo è ora al centro di uno spettacolo – intitolato, appunto, Pantani – scritto e allestito col Teatro delle Albe da Marco Martinelli. La sua ideale veglia funebre, costruita attorno ai genitori che chiedono giustizia e verità sul corpo insepolto del figlio, debutta martedì 27 al Teatro Rasi di Ravenna.

Ne La Maria Zanella, il testo di Sergio Pierattini che aveva consacrato il suo talento, interpretava una donna un po’ via di testa, sullo sfondo dell’alluvione del Polesine. Ora Maria Paiato torna in un certo senso all’origine, affrontando – per la regia di Pierpaolo Sepe – un altro monologo femminile in cui si evocano le ombre della psiche: Anna Cappelli, l’ultima opera di Annibale Ruccello prima della morte, racconta un caso di follia omicida nell’Italia degli anni Sessanta, già avviata all’incombente consumismo. Da martedì 27 al Teatro Studio di Milano.

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