Serie Made in Italy: “Il Diavolo veste Prada” all’italiana
Amarezza mista a delusione per la serie Made in Italy. Un racconto semiserio delle nostre eccellenze
Sicuramente il Made in Italy avrebbe meritato di più, che una serie televisiva da “pizzettata tra amici“. Una sceneggiatura basata sul successo de “Il diavolo veste Prada“, con una finta sessantottina ribelle che per scampare alla misoginia del padre, si ritrova prima stagista e poi penna della rivista Appeal. Passione, psicologia, rivoluzione estetica: manca l’essenziale per un telefilm sopravvalutato.
Walter Albini, un’altra occasione mancata per rendergli omaggio
Per raccontare Walter Albini e Krizia ci vorrebbe uno sforzo maggiore. Uno studio più approfondito che non avrebbe fatto di loro delle comparse di lusso. Un’allegoria dei due tra i più influenti protagonisti del costume italiano.
Albini, che da Busto Arsizio domina la scena con la sua ricerca del taglio e del tessuto. Antesignano del “groupages“, sottovalutato dalla critica italiana ma lodato da quella estera che lo definisce, al pari di Saint Laurent, “forte nella creatività” e “nuovo astro italiano”.
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Walter e il suo Grande Gatsby. Nell’anno 1968 a Palazzo Pitti sfila con la sua collezione ma il suo nome non compare nel calendario tra quelli di Krizia, Billy Ballo, Princess Luciana, Montedoro e Trell. Albini rimase per tempo nell’anonimato sebbene abbia contribuito a dare un obiettivo significativo all’abbondanza creativa del Made in Italy. Dovette fondare una società con Luciano Papini, la Misterfox, per essere riconosciuto come sarto d’eccellenza. La sua successiva collezione, quella del 1970, fu un grande successo tanto da mettere in crisi la stessa società, per la sua limitata attività produttiva.
I suoi capi comunicavano immediata modernità che piaceva soprattutto all’estero e che conduceva, esteticamente, al futuro. La sua giacca-camicia fu un grande successo, attribuita poi a nomi ben più altisonanti (Armani?) come accadde alla ditta Valditevere con il celebre tailleur che Chanel fece suo due anni dopo.
Passi anche inosservata l’errore di montaggio delle scene con il ricomparire del colletto sulla camicia dell’aspirante giornalista di moda, strappato poco prima nell’atelier dello stilista italiano.
Un telefilm stitico anche nei confront della grande Krizia
Il caschetto nero indossato da Stefania Rocca, moglie dell’attuale presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana, Carlo Capasa, non è passato certo inosservato. L’attrice italiana veste i panni di Mariuccia Mandelli, ai tanti conosciuta come Krizia.
Scene veloci: un abbozzo di racconto sterile nei riguardi di una imprenditrice che con cinque macchine da cucire e una gonna, ha costruito un impero, vestendo centinaia di milioni di donne al mondo.
La stilista della maglia, negli anni Sessanta lancia la moda dei maglioni tricot: pullover che diventano poi abiti e che vengono indossati dalla borghesia internazionale a partire proprio da la crème de la crème della società. Una mente geniale che, attenta all’invisibile legame tra moda e arte, ha creato abiti ispirati ai dipinti di Kandinskij e Klimt. Armata di coraggio, lascia le passerelle fiorentine assieme ad Albini, sfilando per la prima volta a Milano nei primi anni Settanta.
Nel primo episodio andato in onda su Canale 5, un piccolo cenno sulla manifestazione proletaria del gruppo “Rosso” e dell’Autonomia Operaia milanese, il 19 novembre del 1974.
La scelta dei costumi, infine, appare ovvia.Un’elaborazione storica tra capi realmente vintage e una selezione di indumenti non proprio anni Settanta ma comunque simili per mood.
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