Contro la fotografia
Fotografia,  Arte

Contro la fotografia La collezione Netter, Modigliani, Soutine e i ‘maledetti’

Contro la fotografia

La collezione Netter, Modigliani, Soutine e i ‘maledetti’

Contro la fotografia

Grandi foto della Parigi inizio secolo, mitico baricentro dell’arte del ‘900, caffè sui boulevard strapieni, gente in paglietta: Renoir, Monet, Degas & C avevano fatto moda. Certo fascino cavalca il futuro, mescolato a letture, film, musica.

Nostalgia per quell’epoca d’oro, come se l’avessi vissuta; invece solo sui libri: Modì l’avevo incontrato su un catalogo d’arte: emozione dall’evidente tristezza delle sue figure con gli occhi senza iride, i colli lunghissimi, licenza di mettere la mia deformazione sul paesaggio, dare un distorsione alla realtà, per dire “non è così come tutti la vedono, ma cosà “.

Resistere alle due grandi tentazioni: quella del reale e quella della menzogna”: è Beckett a parlare (a proposito di Hayden, uno del gruppo dei ‘maledetti’ amico suo).

La storia dell’arte del 900 parte da lì e arriva fino a due decenni dopo la fine della seconda guerra, praticamente quando muoiono gli ultimi superstiti. Giustifica con la qualità dell’amore per il mestiere, il colore e la figura un’arte attaccata al soggetto, al fuori, al reale: basta deformarlo il reale secondo la propria anima, qualcosa di mezzo fra lui e me. Una sorta di manierismo selvaggio: due guerre mondiali, i pogrom, Auschwitz ei gulag giustificano l’aggettivo.

La storia dell’arte è fatta dalla qualità, non solo dall’originalità del segno, è fatta dal coraggio con cui si affida al proprio l’amore per la pittura, che è colore, composizione, equilibrio (o disequilibrio che sia: mi ha colpito di A. Feder uno splendido ritratto di donna, tutto spostato coraggiosamente sul lato destro della tela, perché l’equilibrio in pittura non è simmetria, nel figurativo come nell’astratto).

Contro la fotografia
Amedeo Modigliani, Elvire au col balnc, 1917 o 1918, Collezione privata

Contro la fotografia Non è facile tradurre in parole la verità che emana da quasi tutte le tele di Chaim Soutine

Non è facile tradurre in parole la verità che emana da quasi tutte le tele di Chaim Soutine in mostra. Il soggetto è ancora tale, conserva la sua realtà, i suoi connotati fisici: quella bambina è esistita veramente, il suo ritratto è certamente somigliante, una bambina degli anni trenta con vestitino e scarpette e lo sguardo leggermente fisso; è anche un autoritratto, quello d’un ragazzo perseguitato dai membri della sua stessa comunità ebraica in Lituania e fuggito a Parigi senza un soldo.

Sembra che la pittura abbia questa magnifica virtù: unire due esistenze, almeno due. E per un attimo, un attimo che è durato settant’anni, è stato così. Scalzato alla radice dai Mondrian, dai Duchamp e dai Brancusi (per indicare tre diverse direzioni in cui è stato sferrato l’attacco), il figurativo resiste a lungo e ancora oggi lo trovi sui mercatini della domenica o nelle trattorie di tutt’Europa.

Anch’io sono stanco, provo anch’io una sorta di snobismo nei confronti del figurativo

Anch’io sono stanco, provo anch’io una sorta di snobismo nei confronti del figurativo, ma chi non ci è passato da lì, nelle accademie o nel chiuso della propria cameretta? Capisco quindi e accetto: quando il linguaggio ti ha dato qualcosa, nel solco d’una tradizione che risale a Giotto, è difficile farne a meno, ignorare la nostalgia (sempre cattiva consigliera!). La prova più lampante che il figurativo non è morto la dà l’odierno successo della fotografia, progressivo, sempre maggiore.

Tristi tempi: ci si accontenta solo del reale! Ma una passeggiata anche veloce per le sale della mostra convince che anche l’altro trabocchetto è in agguato; non basta il proprio segno, la propria maniera. L’originalità non è sufficiente: per evitare la menzogna occorre la qualità. Fortunatamente nel gruppo degli artisti collezionati da Netter è abbastanza frequente incontrarla.

Più spesso nelle tele dei due protagonisti della collezione

Più spesso nelle tele dei due protagonisti della collezione, ma la troviamo anche i quelli che, se non fosse per il mercato, non esiteremmo a considerare solo dei dilettanti. Senza alcun peso spregiativo alla parola, sia chiaro: anche un ‘professionista’ prova piacere a liberarsi e liberare dal peso dei propri dolori.

Che altro è l’arte? Quando pecca di mancanza evidente del piacere del fare, zoppica. Come spesso succede nello scatto fotografico, troppo facile, troppo rapido, quando non trasmette la sua necessità nell’evidenza del piacere di questa rapidità o di questa facilità (perché nessuno dubita, dopo Mulas, dopo Cartier Bresson, dopo Capa, che anche la fotografia sia arte, anche se la sua invasione e l’inquinamento visivo che n’è conseguito sono una vera iattura).

Ecco, percorrendo le sale ragionavo sul fatto evidente che la scuola di Parigi, al contrario dei suoi predecessori, gli impressionisti, ha fatto chiaramente a meno della “camera”, si alimenta direttamente dal vero e resiste tenacemente al meccanicismo dilagante. Dice: fate pure coi vostri rullini, le vostre pistole a 24 o 36 colpi (oggi le schede digitali arrivano anche a 500!), noi rimaniamo fedeli al pennello, alla sua durezza, al segno del pelo o della spatola. La lezione oggi non mi sembra da dimenticare.

 

Vuoi ricevere Mam-e direttamente nella tua casella di posta? Iscriviti alla Newsletter, ti manderemo un’email a settimana con il meglio del nostro Magazine.

CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ!