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Economia, dal governo via libera alla cessione di Tim a KKR. Ma Vivendi non ci sta

Dunque, la rete infrastrutturale di rete in Italia diventerà statunitense con la cessione di TIM a KKR. Dopo diversi giorni di consultazioni, il cda dell’ex compagnia di telecomunicazione pubblica ha deciso per la cessione al fondo statunitense. Il fondo KKR, infatti, si prenderà la parte infrastrutturale di rete.

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Cessione di TIM a KKR: gli USA si prendono la connessione di rete in Italia

Dunque, il governo italiano superando il cda stesso dell’azienda, decide per la vendita di TIM a KKR. Il fondo ststaunitemse supera Vivendi e si prende la rete infrastrutturale di connessione. La delibera finale è stata presa con 11 voti a favore e tre contrari, mentre il rappresentante di Cdp non era presente.

I tre voti contrari sarebbero quelli dei tre consiglieri indipendenti Giulio Gallazzi, Ilaria Romagnoli e Marella Moretti. Il prezzo fissato per la transazione è di 18,8 miliardi di euro, che potrebbe salire di 400 milioni se entrassero in vigore incentivi di settore entro fine 2025 e di altri 2,5 miliardi se si effettuerà la famosa fusione con Open Fiber. Al momento è bloccata per una questione di antitrust.

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Un interno della sede del fondo statunitense KKR, nuovo proprietario di TIM

Il passaggio di TIM a KKR è curato dall’a.d. Pietro Labriola. Sebbene l’offerta sia vincolante fino al 5 dicembre, il dirigente ha comunque l’autorizzazione a valutare altre offerte per il gruppo di telecomunicazioni. Labriola, una volta che si sarà concretizzata ala cessione di Tim a a KKR, ci saranno due passaggi. Il primo prevede l’incorporazione di rete primaria, attività wholesale e partecipazione in Telenergia dentro Fibercop, la società dove due anni e mezzo fa era stata scorporata la rete secondaria.

Il secondo passo sarà vendere a Kkr il 58% di Fibercop attualmente sotto l’ombrello di Tim. In questo passaggio si definirà gran parte della fase cash dell’operazione, pari a 6,5 miliardi (Kkr aveva già versato 1,8 miliardi per il 37,5% di Fibercop da poco aveva ottenuto dalle banche un finanziamento di 10,5 miliardi).

Il Mef, detenuto da Giorgetti, parteciperà con una quota di minoranza al nuovo assetto di Tim in mano al fondo KKR

KKR non sarà il solo. Lo Stato resterà dentro con il Mef che ha stanziato 2,5 miliardi di euro per il 100% di Sparkle e fino al 20% della scatola che controllerà la rete. A fianco di Kkr e del Mef scenderà in campo un terzo attore: il fondo F2i, che verserà 1 miliardo pari ad una frazione tra 10 e il 15% delle quote totali. Dunque la cessione di Tim a Kkr costerà al fondoo USA circa 4 miliardi per il 65% della società.

In tutto questo, si sta già manifestando la reazione del socio di maggioranza relativa all’interno dell’azionariato: Vivendi. La multinazionale francese facente capo a Vincent Bolloré, rimasta stupefatta per la decisione del cda di scavallare la consultazione degli altri azionisti (compresa la stessa), ha già deciso che si muoverà per vie legali. Si legge in un comunicato:

I diritti degli azionisti di Tim sono stati violati e la decisione del cda è illegittima. Vivendi utilizzerà ogni strumento legale a sua disposizione per contestare questa decisione e tutelare i suoi diritti e quelli di tutti gli azionisti.

La cessione di Tim a KKR implica inoltre due nodi importanti di cui ancora non si sa la soluzione. Il primo nodo riguarda il contratto (master service agreement) atto a regolare i rapporti tra Tim e Fibercorp e la questione personale. Quanti dipendenti passeranno dal vecchio proprietario al nuovo? Ci saranno esuberi o licenziamenti?

Dagli “uomini coraggiosi” fino alla cessione di Tim a KKR: una storia a debito

Le telecomunicazioni in Italia hanno segnato la storia del Paese, con epiloghi quasi spesso infelici. Il caso Telecom è emblematico. A metà degli anni ’90 era il sesto operatore al mondo con oltre 120.000 dipendenti, un bilancio in ordine e uno sviluppo ben preciso. Ma il decennio 1990 è anche quello delle privatizzazioni e il colosso delle telecomunicazioni viene sacrificato per far cassa.

Roberto Colaninno, ex azionista di maggioranza di Telecom poi TIM

La gestione data in mano ai privati, contrariamente a quanto si pensa, si rivela un disastro. La cordata facente capo al compianto Roberto Colaninno scaricò su Telecom il debito accumulato da Tecnost, il veicolo utilizzato da Olivetti per la scalata, iniziando una voragine mai colmata veramente. Non si rivelò tanto meglio il duo Pirelli-Benetton, in quanto scaricarono a loro volta su Telecom altri miliardi per l’acquisto.

Nel 2003 il gruppo aveva debiti per 30 miliardi. Questo ha fatto sì che non si realizzasse mai un vero piano industriale con delle prospettive temporali e strategiche ben precise. Oggi il gruppo TIM è il 17° operatore al mondo e dispone di circa 52.000 dipendenti. Fattura circa la metà rispetto a oltre 20 anni fa e porta come fosse una palla al piede un debito di 23,3 miliardi. Una storia a debito.

Conclusioni cessione di Tim a KKR. Gli USA si prendono la connessione italiana

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