Dizionario Opera

Filanda magiara, La

La filanda magiara venne proposta al pubblico una prima volta il 24 novembre 1924 in una versione diversa dall’attuale. Kodály era reduce dal successo dell’esecuzione dello Psalmus hungaricus (1923) e volle tentare la strada dell’opera teatrale sul terreno a lui più congeniale, quello dell’assunzione del linguaggio popolare nel contesto di forme musicali colte. Sebbene egli muova senz’altro dall’esperienza teatrale di Bartók, Il castello del duca Barbablù non era per Kodály accessibile allo spirito del popolo ungherese; La filanda magiara doveva, nelle intenzioni del compositore, contribuire anche a preparare il pubblico ad apprezzare opere più complesse. Dopo il successo di Hary Janos , l’opera venne rimaneggiata senza peraltro perdere la sua struttura, che consiste in una sorta di raccolta di brani strutturati su melodie popolari, di cori e di danze legati tra loro da recitativi molto semplici. La vicenda in sostanza si riduce a un pretesto, in cui non vi è posto per elementi drammatrici veri e propri, ma tutto è volto a far risaltare i canti, i cori e le danze.

Una sera d’inverno, nella filanda di un piccolo villaggio ungherese. Una giovane vedova, la padrona, deve dare l’addio al suo pretendente che è costretto a fuggire perché ricercato dalle autorità. Proprio mentre stanno per sopraggiungere i gendarmi, una giovane avverte l’uomo del loro arrivo facendo in modo che si possa mettere in salvo. Ma la padrona rimane sola trovando consolazione quando tutte le ragazze, prima di mettersi al lavoro, intonano per lei un canto popolare al quale la vedova risponde con una canzone dai toni nostalgici. Arriva intanto la giovane, che aveva avvisato il fidanzato della vedova dell’arrivo dei gendarmi; canta un motivo allegro, interrotto dall’arrivo di un gruppo di giovani. La vedova propone allora di dare vita alla rappresentazione di Ilona e Ladislao, una storia d’amore nella quale ciascuno assume il ruolo di uno dei personaggi della vicenda. Al termine della rappresentazione entra in scena la ‘pulce nasuta’, un personaggio mascherato che importuna tutti quanti. Ma all’improvviso si sente in lontananza la voce del fidanzato della padrona che entra in catene. I gendarmi accompagnati da una vecchia passano in rassegna tutti i presenti e finiscono per arrestare la pulce nasuta, alla quale tolgono la maschera. L’equivoco che aveva condotto all’arresto del pretendente alla mano della padrona si chiarisce; l’uomo può tornare dalla vedova e rinnovare con lei le promesse d’amore.

Benché il libretto dell’opera sia di scarsa efficacia e la vicenda presenti delle forzature, la musica raggiunge esiti convincenti: Kodály riesce a realizzare con i mezzi espressivi del canto popolare (nel quale è frequente il ricorso alla scala pentatonica) e intere melodie mutuate dalla tradizione etnica magiara, un linguaggio sobrio ma allo stesso tempo raffinato soprattutto nella strumentazione. Per La filanda magiara valgono senz’altro le parole che Bartók ha usato per descrivere lo stile e il senso della musica di Kodály: «I caratteri delle opere di Kodály generalmente sono: la pienezza e l’abbondanza della forma melodica, la perfetta conoscenza delle forme, e una certa inclinazione alla malinconia. Egli non cerca l’ebbrezza dionisiaca, ma invece l’intima contemplazione. Perciò si spiega che le sue opere non si giovino di elementi di effetto e superficiali».

Type:

[Székely fóno] Opera in un atto

Author:

Zoltán Kodály (1882-1967)

Subject:

libretto di B. Szabolcsi, da testi popolari

First:

Budapest, Teatro dell’Opera, 24 aprile 1932

Cast:

la padrona (A), il pretendente (Bar), la vicina di casa (A), un giovane (T), una giovane (S), la pulce nasuta (Bar); filatrici, giovani

Signature:

t.r.

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