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Frozen Rock Open Air

Il resoconto del nostro inviato al festival metal Due ore di coda al casello di Mestre non sono proprio il viatico migliore per una giornata di musica estrema come quella che ci aspettava al Prato dei Popoli di Marcon (VE). Al nostro arrivo al Frozen Rock, con un’ora di ritardo sull’orario d’inizio, l’affluenza è ai minimi storici e a stento si sarebbe detto che era in programma un festival. Ad ogni modo la struttura è perfetta (un plauso alla Live e al New Age Club, organizzatori della kermesse) con numerosi alberi che assicurano riparo dall’arsura e un grosso tendone che copre la zona mixer e i ben forniti baracchini delle cibarie. Tutto intorno, come sempre, stand vari con paccottiglia simil-medievale o nero-messianica e i più tradizionali venditori di dischi e merchandising.

I Natron, primo gruppo in scaletta, salgono sul palco in abbondante ritardo, permettendoci di non perdere una delle esibizioni migliori della giornata. Per quanto la proposta della death-metal band italiana sia elitaria e goduta solo da un ristretto numero di astanti, la band si fa apprezzare e applaudire per la precisione e la rabbia profuse miscelando pezzi nuovi e vecchi. Avrebbero forse meritato una o due posizioni più avanti nel bill.

Dalla Germania arrivano invece i Disillusion: il prog-death dei quattro sebbene interessante su disco, in special modo nell’ultimo Gloria, dal vivo fa i conti con un missaggio criminalmente pessimo che non permette di distinguere gli strumenti l’uno dall’altro. Anche se le cose nel corso dello show migliorano, il gruppo sarebbe da rivedere con un’acustica ottimale.

Curiosità e nostalgia accompagnano l’attesa per gli Schizo, storica e indefinibile band siciliana che attraverso varie reincarnazioni è in piedi da circa vent’anni e può contare con quest’ultima formazione sul mastermind Alberto Penzin e su giovani musici rampanti veramente bravi allo strumento ma non proprio in palla per quanto riguarda presenza e senso scenico. Menzione d’onore per l’ingresso del cantante che con passamontagna sul volto, camicia taglio rural-chic con maniche arrotolate e bretelle rosse a incrociare aveva scordato solo la lupara per ottemperare al cliché del mafioso pre-attentato. Geniale. Sul palco la band non fa prigionieri, i pezzi sono schegge sonore applauditissime e sparate a raffica una dopo l’altra senza stancare.

Tocca poi agli Entombed mettere a ferro e a fuoco il Prato dei Popoli. La folla si è rimpinguata e ha l’onore di assistere ad un pezzo di storia del metal scandinavo: anche se dal vivo la mancanza della lead guitar di Uffe Cederlund si fa notevolmente sentire, lasciando al solo Alex Hellid la doppia incombenza ritmica e solista, e anche se gli svedesi non scrivono più da un pezzo i capolavori dei primi tre album, la loro esibizione è energica e precisissima, a dimostrazione del fatto che i maestri rimangono i maestri. Molti i pezzi vecchi per la gioia dei die hard fans, fino al tripudio per Left Hand Path e Sinners Bleed che lasciano nei presenti la voglia di risentire al più presto il gruppo. Alla fine sarà uno dei due-tre top-show della giornata.

Altra band che in molti non avrebbero più scommesso di rivedere sulle assi di un palco sono i Brutal Truth, leggenda newyorkese del death-grind riunitasi nella formazione storica di inizio carriera (metà anni Ottanta). Per quanto benvoluta e attesa dal pubblico, la band è molto noiosa e non riesce a ripetere né le versioni dei dischi né tantomeno i passati live. Il cantante è molto appesantito nel fisico e di contro assai alleggerito nella voce, e facendo eco alla poca dinamicità di tutto il gruppo non riesce a dare alle canzoni l’impatto di cui avrebbero bisogno. Esperienza da concludere e tempo di passare a nuovi progetti per Dan Liker e soci.

I My Dying Bride salgono sullo stage sotto un sole cocente che ha accompagnato tutta la giornata del festival, non certo la situazione più adatta al gothic-doom del sestetto d’Albione. Infatti il concerto non decolla e quelle che dovrebbero essere tracce permeate da disperazione e solitudine non riescono a colpire l’audience, levigando il tutto su un’esibizione perfetta ma incolore. Pezzi storici come The Angel And The Dark River o The Forever People hanno comunque svegliato il pubblico ma sono stati degli iceberg nell’oceano. Se ne deduce che l’accoppiata notte-My Dying Bride è d’obbligo per godere completamente della formazione britannica.

La pietra dello scandalo, come al solito, è rappresentata dai Lacuna Coil (nella foto la cantante Cristina Scabbia). Che un pochino se la vadano a cercare è fuori discussione, visto che il loro gothic rock molto trendy non c’azzecca alcunché con il clima del Frozen Rock Open Air, ma sperare in una civilizzazione e in una apertura mentale del metallaro medio italiano probabilmente è ancora come cercare di estrarre Excalibur dalla roccia non essendo Re Artù. In completa onestà, lo show proposto dai milanesi è stato ottimo, avendo ormai i nostri un repertorio composto da un buon numero di classici: sul fatto che non siano proprio dei geni dello strumento si può poi discutere (e il batterista sarà preso in giro dall’entourage al completo per aver perso una bacchetta durante l’inizio di un pezzo proprio mentre l’attenzione di tutti era su di lui), ma se è ancora il risultato che conta si può dire che l’esame è ampiamente superato. Sempre più potenti e internazionali.

Ma veniamo al momento topico dell’evento: i Meshuggah. Gli svedesi sono in studio per registrare il nuovo album e questo ha influito molto sulla durata dello show, dato che non ha raggiunto i cinquantacinque minuti e ha lasciato i presenti a bocca asciutta senza alcun bis. Malgrado questo, assistere a una loro performance è come schiantarsi contro un muro a velocità pazzesca: l’unico effetto possibile è l’annichilimento. I cinque suonano come perfetti meccanismi ben oliati, impostati da entità supreme per devastare i padiglioni auricolari dei presenti e le loro armi sono i monoliti sonori storti e matematicamente necessari forgiati dalla mente aliena di Fredrik Thordendal. In rapida successione vengono fatte esplodere le varie New Millennium Cyanide Christ, Straws Pulled At Random, Sane, Soul Burn, Stengah, Future Breed Machine e poco altro fino ad arrivare alla fine del concerto e della serata completamente lobotomizzati ma contenti. Le luci del palco si spengono e la folla in religiosa confusione se ne torna a casa. Arrivederci al prossimo Frozen Rock.

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