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Gustave Courbet

A Parigio ritorna Courbet: il rivoluzionario attentantore della tradizione pittorica francese. Ciclicamente alcuni artisti vengono riscoperti e riportati alla ribalta dei grandi eventi.
Così, dopo trenta anni di studi e ricerche (risale al 1977 l’ultima mostra parigina) che hanno cambiato la percezione dell’artista e della sua opera, tocca a Courbet tornare a brillare.

Gustave Courbet, scandaloso provinciale che arriva a Parigi nel 1840, definendosi l’élève de la nature e con poche parole prende le distanza dalle accademie, dalle scuole e dai principi infusi nell’arte romantica.
Soggetto interessante e rivoluzionario, ricordato nella mostra presso le Galeries nationales del Grand Palais per raccontare cosa venga prima degli anni di gloria, una mostra per far sapere in quale Parigi il giovane Gustave arrivasse e quale città lasciò rinnovata e sconcertata dai suoi quadri. E soprattutto per illustrare come e quanto la sua poetica del reale incise sulle generazioni future.

L’esposizione del Grand Palais parte proprio da una riflessione intorno alla definizione di Realismo, concetto ambiguo e se vogliamo paradossale nell’opera di Courbet.

La mostra inizia con Gustave agli esordi delle grandi tele, quando ancora si trovano accenti romantici, per atteggiamento, posa e composizione, negli aristocratici autoritratti. Ma già qualcosa è diverso, e si nota: la pennellata – ancora acerba – è certo un segno nuovo, verosimilmente più solido e meno veemente e romantico del passato.

Courbet cresce e matura una certa ispirazione, una vocazione antitetica ai temi accademici, fortemente orientata a un vero che filtra e che diviene un vero artistico.
Il Realismo di Courbet passa attraverso un lavoro di memoria, secondo un processo evidente di percezione della realtà soggettiva e intima. Ecco i manifesti d’intenti (non poteva mancare Lo studio d’artista del 1854) e i paesaggi che lo ispirarono.

Ben otto le sezioni che compongono il percorso espositivo: nella tentation moderne si vedono le opere degli anni ’60 quando Courbet è all’apice della celebrità e diventa referente per i seguaci della Nouvelle peinture. Una parte dedicata anche all’ispirazione del nudo femminile, nelle diverse – più pudiche e meno – interpretazioni.

Nelle ultime sezioni il pittore, tacciato di insinuare una “tendenza pittorica disastrosa per l’arte francese” (come si espresse la giuria che, nel 1848, lo estromesse dalla più “ragguardevole collezione di pittura mai raccolta entro un edificio solo”) si raccoglie in una meditativa e malinconica raffigurazione.
Sono gli anni del dopo-Comune, esemplificati dalla somma metafora della Trota, quadro che chiude un “gigantesco esercizio di autoritratto” secondo la lettura curatoriale della mostra.
In vinculis faciebat, scrisse a proposito della prigionia (lunga sei mesi) del 1871.
Ma sine vinculis moriva nel 1877, esiliato in Svizzera, ma forte di una libertà artistica ed espressiva che mai lo abbandonò e che fu linfa per un’altra storia.
Quella che tre anni prima, a Parigi, era appena iniziata.

Gustave Courbet
Paris, Galeries nationales du Grand Palais
13 ottobre 2007 – 28 gennaio 2008

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