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I Magazine Indipendenti

Magazine Indipendenti.  Fuori dal coro, marci, concettuali, fintamente snob, politically s-correct. Tanti gli attributi che saltano alla mente quando si parla di giornali indipendenti.

I magazine indipendenti

Molte di queste specifiche ci vengono suggerite dagli stessi autori – spesso anche editori – che proclamano a chiare lettere attraverso digressioni, introduzioni o editoriali classici, i motivi per cui il magazine è stato creato, il bacino di utenza a cui si rivolge e che cosa promette di riservare al lettore. Tutto qui? No, c’è dell’altro.

Certo l’argomento è talmente vasto e mirabilmente contorto che riuscirebbe ad esaurire un’intera disquisizione di tesi, ma dal momento che a noi non è concesso cotanto agio – e sarebbe anche sconveniente dilungarsi spropositatamente sul web – riassumeremo l’argomento in poche salienti battute, che daranno un’idea di cosa voglia dire nel mondo dell’editoria “essere indipendenti”.

Anzitutto ogni realtà indipendente

Anzitutto ogni realtà indipendente è un caso a sé stante, che vive di specificità tali che ad andare a sviscerarle una per una si rischierebbe di commettere madornali imprecisioni e falsare gli intenti reali che soggiacciono alla nascita del progetto.

Uno come nessuno, quindi. Si parte da qui.
Indipendente: alla lettera significa “che non dipende da altri, che non è soggetto all’altrui dominio”. E in effetti nella maggior parte dei casi è così. Qualunque approfondimento, trattazione, intervista o, nel caso delle riviste di moda, servizio fotografico, dovrebbe essere scevro da vincoli di sorta, siano essi imposti dall’editore o dalla pubblicità.

Pubblicità, prigione e menzogna del nostro tempo, sorgente di vita e supporto economico, lo strumento che permette al 99% dei magazine del mondo di nascere e proliferare. È con la pubblicità che si paga la stampa della rivista, è con la pubblicità che si stipendiano i giornalisti, ed è ancora con la pubblicità che il mercato gira e la macchina della creatività funziona.

Una poesia distrutta alla velocità di un clic

, ma è il sistema che determina le regole, che si autodisciplina e che non tollera sconvolgimenti dell’assetto precostituito. Il mercato è il tavolo da gioco e i capitali generati dagli investimenti pubblicitari sono le carte, il guizzo creativo sta nel riuscire a vincere la posta in palio giocando al meglio con le carte che si possiedono.

Certo si può anche continuare a stare in ballo senza eliminare tutti gli altri concorrenti, magari accontentandosi di fare da coda oppure – meglio – dedicandosi a un tipo di gioco ben preciso, che tradotto in termini reali altro non è che quella fetta di pubblico a cui si vuole comunicare.

Va anche detto che nascono raramente, con la stessa percentuale demografica delle stelle alpine, realtà i  Magazine Indipendenti indipendenti che non piegano la loro identità al volere della pubblicità e sopravvivono godendo di altro tipo di sovvenzioni o attraverso introiti provenienti dai canali più disparati.

In pochi restano in piedi

In pochi restano in piedi e quelli che ci riescono navigano a piè sospinto nel mare magnum dell’editoria di massa, anche se poi di massa vera e propria non si tratta, perché questo tipo di progetti editoriali si rivolge sempre a utenti iperselezionati che conoscono il prodotto e sovente interagiscono con lo stesso.

La differenza sostanziale infatti tra un magazine indipendente e un altro mainstream sta nel fondamento che sorregge le due realtà: il primo ha alla base un messaggio “forte”, un sentimento da concretizzare, un nucleo di persone di cui eleggersi a portavoce, un’idea di stile che non risponde a quelle riscontrabili nel contemporaneo;

il secondo invece è il prodotto studiato di attente ricerche sociologiche e di mercato, qualcosa che, attraverso la scienza, l’arte, la moda, la cultura in generale, sia allocatore di risorse umane e generatore di flussi di moneta, tanto più considerevoli quanto maggiori sono gli introiti che produce.

Un cane che si morde la coda

Un cane che si morde la coda, parrebbe. Spiace dirlo ma è così, e così sarà finché coloro i quali non contano nulla nel sistema, ma di fatto ne sono parte integrante, piegheranno il loro volere in nome di uno stipendio maggiore – sicuro – piuttosto che unirsi e cercare di costruire la strada per un futuro diverso.

La congiuntura economica che stiamo vivendo, chi più chi meno, servirà a tagliare i rami secchi di ogni categoria, a far aguzzare l’ingegno e a creare nuove forme di comunicazione e altrettanti mondi di esperienza.

Di Danton, d’Alembert e Robespierre non ne esistono più, perciò inutile vivere nell’idea illusoria di una rivoluzione restauratrice del pensiero moderno, ma se è vero l’adagio che le cose più belle vengono pensate, create, fatte e vissute dagli uomini che non posseggono danaro, allora forse questo è il momento ideale per cominciare a sperare.

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