Intervista Rossella Jardini
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Intervista a Rossella Jardini: un’autentica signora della moda

Intervista a Rossella Jardini: un capricorno ascendente Hermès

Amica, musa e complice di Franco Moschino che la definiva scherzosamente “Un capricorno ascendente Hermès” Rossella Jardini è un’autentica signora della moda con un gusto senza eguali. rossella jardini

Alla morte di Franco è diventata direttrice creativa dell’azienda ed è riuscita a mantenere lo spirito di Moschino vivo per 20 anni, fino al 2013, quando è uscita dall’azienda. rossella jardini

Noi della redazione mam-e.it l’abbiamo incontrata nel suo elegante appartamento di inizio ‘900 a pochi passi da Porta Venezia dove ci ha accolto insieme ai suoi adorabili Cavalier King Charles, Charlie e Jolie. rossella jardini

Intervista rossella jardini

  • Partiamo dall’inizio: una Rossella Jardini della mia età, 21 anni, sognava già una carriera nel mondo della moda? rossella jardini

A 21 anni avevo già aperto un negozio a Bergamo “Il pomeriggio” con mia cognata che aveva sposato il fratello di Nicola Trussardi. Ho continuato a fare ricerca per loro anche dopo essermene andata perché evidentemente intravedevano già la mia passione innata per la moda. La passione della moda è sempre stata dentro di me: mi ricordo quando ad otto anni avevo fatto i capricci con la sarta perché volevo un vestito scozzese, con il colletto rotondo, con la cintura bassa… Ero molto piccola, ma avevo già un’ idea precisa sugli abiti che avrei voluto indossare. rossella jardini

Probabilmente il forte interesse per moda l’ho ereditato anche dalla famiglia. Mia mamma era una bella donna (anche se di ghiaccio) e sicuramente la classe, la statura e le proporzioni le ho ereditate da lei. Mia nonna, invece, partiva in carrozza da un paesino della Val Seriana e faceva un viaggio di due giorni per arrivare Milano e andare da Galtrucco per comprare i tessuti e farsi fare gli abiti. È morta a 95 anni provando una collana di Chanel. rossella jardini

  • Il suo percorso è segnato da grandi nomi Trussardi, Bottega Veneta, Moschino… quando è effettivamente iniziata la sua carriera nel mondo della moda? rossella jardini

Un giorno facendo ricerca per questo negozio a Bergamo sono andata in piazzetta Sant’Alessandro qui a Milano e al primo piano di via lupetta ho incontrato questi due ragazzi bellissimi, ex modelli, uno svizzero e l’altro argentino, che avevano creato una loro linea di abbigliamento, L’Alvear. I ragazzi, Philippe e Marcelo presentavano al Grand Hotel et de Milan le loro collezioni, utilizzavano dei tessuti carissimi che andavano a prendere a Zurigo e facevano venire delle modelle da Parigi, cosa non usuale all’epoca. Appena li ho visti, mi sono invaghita di loro ed è iniziata la nostra collaborazione. rossella jardini

  • Com’è nata intensa la sua intensa collaborazione e profonda amicizia con Franco Moschino? rossella jardini

Franco l’ho conosciuto durante il mio lavoro all’Alvear. Philippe era ormai finito in un giro di droghe ed era stato portato a Ginevra e poco dopo entrambi sono andati vivere a New York. Io sono rimasta sola. rossella jardini

È così che Franco mi ha chiesto di andare a lavorare con lui da Cadette, per i Signori Fantoni, allora proprietari del marco. Lavorare con Franco fu da subito bellissimo ma l’assenza di intensa con i proprietari mi fede abbandonare l’incarico.

Intanto avevo conosciuto, tramite i Trussardi, Michele Taddei, fondatore di Bottega Veneta . Avevo anche lavorato anche un anno per Nicola Trussardi che, come lei forse già sa, morì a soli 57 anni in un tragico incidente stradale. Nicola alla guida era un uomo molto spericolato.

Ho iniziato quindi la mia attività presso Bottega Veneta dove mi sono occupata degli accessori, borse e scarpe. Michele Taddei mi voleva a lavorare da lui a Bottega Veneta, aveva aperto il primo negozio a New York e accettai. Avevo una bella macchina, viaggiavo spesso in America…erano anni molto belli. Molto spesso incrociavo Franco a New York dove andava anche lui spesso per lavoro.

Sono rimasta cinque anni in Bottega Veneta dove ho imparato tantissimo perché lavorando a banco con i modellisti (cosa che i ragazzi di oggi non fanno più) capisci bene come funziona.

Quando Franco ha lanciato la sua prima linea personale, e mi ha chiamata da lui, non ho avuto un solo attimo di esitazione. Da Bottega Veneta guadagnavo già una cifra importante, ma ho deciso di seguire il mio sogno, sia pure per un quarto di quello stipendio.

  • Che tipo di rapporto avevate con il signor Franco?

Era un rapporto molto stretto di fiducia, di amicizia. Lui iniziava una frase e io la finivo, e viceversa. Devo ammettere che ero anche molto esigente con Franco: aveva chiamato una collezione “Normal but special” e, come si può dedurre dal nome, lui voleva una linea pulita e semplice, ma io l’ho convinto a far sfilare Amalia, indossatrice di colore, con una tuta coperta da bijoux.

Tra me e Franco si era creata subito una sintonia totale. Mi lasciava indicazioni su cosa sviluppare in collezione: un disegno di una giacca a doppio petto, una giacca a tre bottoni, una camicia bianca, una gonna a pieghe, un pantalone da uomo e uno chamisier e mi diceva “Ora vai avanti tu”. Lui detestava scegliere i tessuti mentre io lo amavo, mi dicevano che avevo la mano da tessutaio…

Il business cresceva ma poi è arrivato l’Aids… Franco ha avuto un’encefalite 3 anni prima della sua morte e i medici lo davano per perso. Mi ricordo ancora con precisione il momento in cui ho dovuto chiamare il fratello che non sapeva né che fosse gay e né che cosa fosse l’Aids.

Un altro episodio lo ha avuto due anni dopo quando gli hanno diagnosticato un tumore all’intestino. Da lì in avanti ha cominciato a non venire in più in ufficio mentre prima veniva addirittura con la flebo infilata al braccio e rimaneva sdraiato sul divano dell’ufficio. Qui a Milano Franco aveva una casa piccola con un terrazzo enorme e l’assistenza risultava sempre più difficile. È così che trovai l’annuncio di una villa di una principessa sul lago di Annone che la affittava con tutto, cameriera, cuoca… Appena l’ha vista Franco se ne è innamorato.

In quel periodo Franco non si alzava più dal letto. Mi ricordo ancora la gioia che ho provato quando una sera chiamai l’infermiera che mi disse che Franco si era alzato dal letto e aveva fatto un giro in giardino.

L’ultima estate Franco l’ha passata al lago mentre noi facevamo avanti e indietro da New York. Quando sono tornata i medici erano tutti a Tokyo per il convegno dell’Aids e mi hanno detto che non c’era nulla da fare. La notte del 18 settembre 1994 si spense.

Il giorno dopo il suo funerale sono andata in studio e ho detto ai ragazzi che da lì in avanti sarebbe stato difficile ma che se avessimo fatto tutto quello che ci aveva insegnato lui non avremmo potuto sbagliare. E così dal ’94  al 2013 sono stata il direttore creativo della Maison Moschino.

  • E come si è concluso il suo percorso nella Maison Moschino?

Dopo una decina di anni dovevamo decidere se diventare produttori di noi stessi e acquisire delle fabbriche o meno. Io mi sentivo sola e il signor Gobetti, allora CEO dell’azienda, aveva già un piede fuori dalla porta così mi sono ricordata che alla mia domanda su cosa avrei fatto senza di lui in azienda, Franco mi rispose:

“Trasforma la Maison Moschino in una macchina che produca soldi e fai del bene agli altri”.

È così che ho istituito la fondazione Franco Moschino legata all’organizzazione mondiale della sanità soprattutto di bambini abbiamo ricostruito insieme a Piero Barilla l’ospedale pediatrico di Bucarest.

Ho venduto ad Aeffe, (Alberta Ferrettiche producevano la prima e la seconda linea, anche se avrei dovuto vendere ai Marzotto (il conte Marzotto me lo ha rinfacciato in Sardegna pochi anni fa), ma volevo un passaggio più indolore possibile ai tempi.

Eravamo il 70% del fatturato di Aeffe, vestivamo con gli abiti di Moschino anche Michelle Obama in quegli anni. Mi ricordo che sono tornata la domenica da Chicago e il Lunedì il Signor Ferretti mi ha cacciato.E così Jeremy Scott ha preso il mio posto: dire che ci sono rimasta male è dire poco.

Quando è subentrato Jeremy Scott, per un po’ di tempo ho fatto la “stagista di lusso” da Alberto Aspesi, quindi una breve collaborazione con Missoni e, finalmente, mi sono concessa un break.

  • E poi ha creato una collezione a suo nome nel 2015 giusto?

Ho seguito per un po’ di anni la mia collezione ma ora ho smesso. Erano dei produttori poco esperti in licenza e quindi alla fine ho lasciato perdere. L’ultima stagione ho dovuto anche affrontare ingenti spese… io sono capace di fare il direttore creativo ma non mi dovete mettere a controllare le fatture!

  • E ora ha altri progetti in programma?

Ora stiamo facendo accordi con dei ragazzi siciliani che hanno comprato il marchio di Coppola e Toppo, brand che ha reso famoso il bijoux Made in Italy negli anni 60 e 70 (mi fa vedere una loro collana particolarissima fatta a mano). Il marchio debuttò a Parigi nel 1958 attirando l’attenzione dei più grandi couturier francesi dell’epoca tra cui Christobal BalenciagaChristian Dior, Elsa Schiaparelli e Valentino che divennero i suoi primi clienti. Hanno avuto subito un grande successo anche in America. Avevano un negozio in via Manzoni qui a Milano e ora i ragazzi che hanno rilevato il marchio hanno aperto due boutique a Taormina.

Mi piacerebbe produrre dei bjoux con questo tipo di lavorazioni. La cosa più difficile da fare sono i bracciali. Vorrei imparare a produrre anche delle borse con questo tipo di lavorazione così ma non voglio che diventino dei semplici gadget.

  • Parliamo del suo profilo Instagram che è molto attivo. Come è iniziato tutto questo? Cosa le piace di più di questa piattaforma?

Uno dei miei assistenti mi ha fatto cominciare. Io non sono tecnologica (anche se dovrei imparare). Devo ammettere, però, che mi ha preso molto il fatto di postare ogni giorno con un look diverso. Il mio obiettivo è insegnare alle donne come vestirsi anche se mi dimentico che molte donne non hanno le mie stesse disponibilità economiche.

Non voglio fare la vecchia influencer ma vorrei insegnare di più sul mondo della moda tramite questa piattaforma. Tra i miei 50 mila followers ci sono tanti russi e i miei assistenti mi dicono che dovrei sfruttare di più la cosa. Si vedrà.

  • Cosa mi dice del mondo della moda di oggi? C’è qualche stilista che le piace particolarmente?

Credo che sia peggiorato sotto alcuni aspetti. Sono una fan di Maria Grazia Chiuri, è una ragazza con i piedi per terra che sta facendo un gran lavoro. Un altro stilista che ammiro è inoltre Duro Olowu per il suo senso del colore e il suo heritage che deriva dall’arte che emerge in ogni sua collezione. Al momento apprezzo molto anche RiannaandNina, brand di due stiliste, una greca e una tedesca, che producono dei vestiti di un forte impatto cromatico e visivo. (Mi porta in camera per mostrarmi i vestiti del brand arrivati il giorno stesso).

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