cinema: nicole kidman compie 50 anni 7 film e ruoli indimenticabili
Cinema,  Spettacolo

Nicole Kidman – 7 ruoli indimenticabili

Ed è stata una musa per alcuni dei più grandi registi, capaci di valorizzare la sua feroce e misteriosa bellezza. Ecco i 7 ruoli più belli e sofisticati dell’attrice australiana

Anche Nicole Kidman è arrivata ai 53.

Se Alfred Hitchcock l’avesse vista recitare, ne sarebbe rimasto incantato: siamo certi l’avrebbe scelta come novella Tippi Hedren, neo icona femminile dai capelli d’oro. Poco male, al posto del maestro del giallo l’hanno diretta e valorizzata registi del calibro di Lars Von Trier, Stanley Kubrick, Jane Campion, Alejandro Amenabar e recentemente, Sofia Coppola.

Scaltra e nervosa come un essere sfuggente e misterioso, Nicole Kidman è stata fino ad ora un grande volto del cinema mainstream d’autore dopo essersi fatta conoscere, nel corso degli anni ’80, in opere di pura d’evasione come Cuori RibelliOre 10 calma piatta Giorni di Tuono.

Ecco le recensioni di sette film in cui il suo talento si è espresso con maggiore forza: sette ruoli realmente scomodi, perturbanti, in cui ha interpretato esattamente il rovescio della donna perfetta, femme fatale che hanno saputo incarnare gli abissi dell’enigma femminile.

Da Morire – di Gus Van Sant

Suzanne, ossessionata dall’idea di comparire in tv, è un mostro di stupidità e cinismo, pronta a tutto pur di diventare una anchor-woman. E non arretrerà nemmeno davanti all’omicidio. Nicole Kidman, vestita con tailleur da Barbie, interpreta l’idiozia vincente e autofaga dei mass-media: la sua Suzanne è talmente convinta di farcela che ce la farà davvero. Gus Van Sant finge di irregimentarsi dopo alcuni film più «scapestrati», e gira la sua prima commedia e la sua prima pellicola al femminile:

sceneggiatura ben costruita, cattiveria serpeggiante e soprattutto il gusto pop della messinscena, stilizzata e colorata, «giapponese», che elimina ogni sospetto di moralismo. Certo, siamo lontani dai precursori Cukor (La ragazza del secolo) e Tashlin: il film è uno dei più misogini del decennio e lo scoperto nichilismo, l’odio per tutto e per tutti, appartengono completamente ai nostri anni. Prima che American Beauty ne facesse una moda.

Ritratto di signoradi Jane Campion

Una bella e ricca americana sposa un avventuriero che la ridurrà in uno stato di sudditanza psicologica. Sembrerebbe un adattamento letterario come tanti altri: i costumi e le scenografie sono quelli, la musica è addirittura Schubert e il cast è perfetto (Malkovich sembra un aggiornamento del Valmont delle Relazioni pericolose, Nicole Kidman si conferma una delle migliori attrici della sua generazione).

Il canovaccio jamesiano, coi suoi molteplici fattori di repressione, costringe invece la regista a far esplodere la violenza dei rapporti in frammenti minimi di racconto, a squarciare la vicenda con lampi sempre trattenuti, in costante conflitto con l’epoca, i personaggi, le loro psicologie. Questa tensione diventa l’anima stessa del film. La notte, i sogni, i ralenti, i primissimi piani fanno di questo film un piccolo gioiello di ambiguità, lontano da ogni manicheismo e psicologismo. Due nomination agli Oscar.

Eyes wide shut – di Stanley Kubrick

Dopo un party, un medico riceve la confessione delle fantasie erotiche della moglie e vaga per la città. Farà strani incontri, e finirà – indirizzatovi da un amico pianista – a un’orgia mascherata in una villa. Qui verrà smascherato, e l’indomani si metterà sulle tracce del luogo misterioso… L’ultimo capolavoro di Kubrick, un autore talmente grande da dividere e sconcertare anche dopo morto.

Hanno detto: un film imperfetto, incompleto. Ma che importa? Eyes Wide Shut è una costruzione terminale, definitiva, una delle descrizioni più oscure del mondo che ci circonda. Sulla scia del Doppio sogno di Schnitzler, Kubrick ci conduce nel cuore nero dell’Occidente sviluppato, con un moralismo e un pessimismo da uomo del Settecento. La Storia è storia dei rapporti di potere, il Potere è potere sui corpi.

Dominio dei ricchi sui corpi dei poveri, degli uomini su quelli delle donne. Compiendo la sua parabola, uno di geni del secolo porta Barry Lyndon nel 2001. Ma fino all’ultimo non rinuncia alla sua beffarda ironia, e affida il sugo di tutta la vicenda a uno «scopiamo» detto da una stupenda Nicole Kidman al marito. Molto più che un bel film. Un film indispensabile.

The Others – di Alejandro Amenabar

Avvincente storia di fantasmi ambientata su un’isola della Manica nel 1945: una donna disturbata, il cui marito non è mai tornato dalla guerra, cerca di mandare avanti la sua vecchia casa da brivido mentre protegge — o iper-protegge? — i suoi due bambini piccoli. Un nuovo staff di custodi potrebbe essere parte della soluzione, oppure solo un’altra manifestazione del problema. Nella tradizione di Gli invasati (1963), questo lugubre film costruisce la tensione senza mostrare virtualmente nulla, ma accendendo la nostra immaginazione. Scritto dal regista; Tom Cruise (ai tempi ancora unito a Nicole Kidman) è il co-produttore esecutivo.

The Hours- di Stephen Daldry

Virginia Woolf, Laura Brown e Clarissa Vaughan. La prima vive negli anni Venti, la seconda nei Cinquanta e la terza ai giorni nostri. Sussex, Los Angeles e New York. Tre storie, un unico filo conduttore: il libro Mrs Dalloway. Virginia Woolf (Nicole Kidman) nel 1921 inizia a scrivere il libro che verrà pubblicato nel 1925, Mrs Dalloway appunto. Vive fuori Londra, in una casa di campagna, accudita dal marito e dai medici.

La sua malattia mentale avanza e la scrittrice se ne accorge. Laura Brown (Julianne Moore) vive a Los Angeles e nel 1952 inizia a leggere il libro della Woolf. La sua vita sembra normale: ha un marito che la ama molto e un figlio adorabile.

La lettura del romanzo, però, le sconvolge la vita e mette in discussione, per la prima volta, tutte le sue certezze. Clarissa Vaughan (Meryl Streep) vive a New York e sta preparando la festa per il suo amico poeta, ex amante, Richard, malato terminale di Aids. Richard la chiama Mrs Dalloway, perché lei ne è l’incarnazione in chiave moderna. Le tre donne ricercano la propria esistenza, il significato della loro vita e, come diceva la Woolf, la vita di ognuno è legata in qualche modo a quella di altri.

Tratto dall’omonimo romanzo di Michael Cunningham, pubblicato nel 1998 e premiato con il Pulitzer nel 1999, The Hours è un film sulle fragilità umane, non solo femminili. Tre spaccati di vita, in tre epoche diverse, ma tutte intercambiabili l’una con l’altra. Ottima la regia, il montaggio, la fotografia, le scene, i costumi e, ovviamente, la sceneggiatura. Come spina dorsale del film le tre attrici, al solito insuperabili. Oscar alla Kidman e altre otto nomination.

Dogville – di Lars Von Trier

In fuga da una banda di gangster che le sta dando la caccia, Grace trova rifugio nella minuscola Dogville, sulle Montagne Rocciose. Accolta non senza titubanze dagli abitanti del villaggio, accetta di lavorare in cambio della loro ospitalità. Ma quando la polizia arriva a Dogville per cercare la donna, la popolazione diventa sempre più esigente, imponendole giornate di lavoro durissime e atroci umiliazioni.

Diviso in nove capitoli e un prologo, una scelta ispirata da Barry Lindonil film preferito di Von TrierDogville è la prima parte di una trilogia che proseguirà con Manderlay,

nel quale Grace sarà in Alabama, e un terzo film intitolato Washington, due pellicole che difficilmente verranno interpretate dalla Kidman, sia per i numerosi impegni della diva (mai così poco diva come in questo film) che soprattutto per i frequenti scontri che l’hanno opposta al regista danese durante la lavorazione del film.

«Un film – ha detto lo stesso Von Trier – fatto più di domande che di risposte». Un film sul desiderio di vendetta e sul potere, che secondo Von Trier può logorare anche chi ce l’ha, rendendolo più insicuro e più cattivo. Riducendo la scenografia a un palcoscenico teatrale in cui le case sono sostituite dal loro profilo disegnato per terra e gli unici oggetti presenti sono quelli funzionali alla narrazione, l’autore di Dancer In The Dark obbliga lo spettatore a concentrarsi sui volti dei protagonisti, osservatore privilegiato di un microcosmo che potrebbe rappresentare qualsiasi sistema sociale, con le sue logiche di potere, i suoi rapporti privilegiati e le sue mutevoli gerarchie.

Basta poco a corrompere una società ed è molto difficile, poi, risanarla. Anche perché chi ha subito un torto difficilmente è in grado di perdonare. Questa sembra essere la morale di un film ispirato a Von Trier da Jenny dei pirati, una delle canzoni de L’opera da tre soldi di Brecht, storia di una serva che assiste senza dolersi alla distruzione della città in cui lavora. La versione italiana della pellicola è stata ridotta a due ore e un quarto rispetto alle quasi tre dell’originale.

Moulin Rouge – di Baz Luhrmann

Un giovane intellettuale, Christian, rampollo di un padre bigotto e moralista, arriva a Montmartre. Per condurre una vita bohemién, inseguendo l’amore, la poesia, l’arte, gli ideali… Gli cade letteralmente dal soffitto Toulouse-Lautrec che con altri due scombiccherati sta mettendo in piedi uno spettacolo per il Moulin Rouge. Ma gli cade tra le braccia la più bella di tutte le cortigiane della Parigi di fine Ottocento.

È Satine, protetta da Zidler l’impresario del teatro. Travolgente passione tra i due, rovinata però da un nobile danaroso, il viscido Duca, che dovrebbe finanziare lo spettacolo. E che pretende l’esclusiva per le grazie di lei. Ma la splendida Satine, per salvare lo spettacolo, farà finta di non amare più il romantico poeta… Intanto, la tisi sta minando il suo fisico…

Folle, sfarzoso, kitsch, scintillante musical, un po’ Traviata , un po’ Rocky Horror , un po’ Bohéme , un po’ Cantando sotto la pioggia. Sullo sfondo, una Parigi che sta passando dall’Ottocento al Novecento sotto una luna che parla. Ma, vestite da ballerine di can-can, le signorine cantano i Beatles ed Elton John, i Rolling Stones e i Nirvana, Madonna e Sting, i Queen e Marilyn Monroe

Una stravagante storia d’amore e di passioni, con colpi di scena, invenzioni crudeli, salti temporali, lungaggini, scene melense, scene urlate, e la follia di sentire un omone vestito come cent’anni fa che intona Like a Virgin … Geniale Baz Luhrmann (l’autore di Romeo + Juliet), l’australiano al suo terzo film si cimenta con questo stravagante musical rock ai tempi di Puccini. Bravissima Nicole Kidman, che balla (bene), canta (bene) ed è bellissima.

Bravo anche Ewan McGregor, l’ingenuo e gelosissimo poeta innamorato della sua Violetta (o Mimì, o Satine…). Ma bisogna lasciarsi trascinare dalla musica, dalle scene, dai costumi, dai personaggi matti, dalla follia della storia, altrimenti…

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