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Paralimpiadi Tokyo 2021: l’intervista ad Alberto Amodeo a MAM-e

A distanza di quasi due mesi dall’inizio dei Giochi, MAM-e offre ai suoi lettori la possibilità di rivivere alcuni dei momenti più magici di Tokyo 2021: a raccontarceli in questa intervista inedita, è Alberto Amodeo, uno dei volti di quella che è stata definita “la stagione azzurra”. Giovanissimo nuotatore paralimpico, Alberto è la dimostrazione che volontà, perseveranza e ottimismo possono smuovere le montagne, anche quelle che sembrano più invalicabili. 

Paralimpiadi Tokyo 2021: Alberto Amodeo, vincitore di una medaglia d’argento nei 400 m stile libero, si racconta a MAM-e

Rimasto vittima di un terribile incidente all’età di 12 anni, Alberto ha subito l’amputazione della gamba destra, rimanendo a lungo tra la vita e la morte. È stato il nuoto a salvarlo, insieme al supporto di amici e famigliari. Otto anni dopo, Alberto Amodeo – tesserato con l’associazione ONLUS Polha Varese e già campione europeo – è salito sul podio delle Paralimpiadi di Tokyo 2021, dove ha conquistato un’eccezionale medaglia d’argento nei 400 m stile libero. Preceduto soltanto dal russo Andrei Nikolaev, Alberto ha stabilito il suo record personale di 4’25″93.

Ora è tornato a casa, ad Abbiategrasso (Milano). Ha incontrato il sindaco Sala e il Presidente Mattarella, ed è pronto a ricominciare le lezioni al Politecnico di Milano. Non prima, però, di aver raccontato la sua strabiliante esperienza a MAM-e. 

L’intervista ad Alberto Amodeo

Dopo la tua incredibile prestazione nella 400 m stile libero, non possiamo fare altro che partire col parlare delle Paralimpiadi di Tokyo 2021 e della incredibile esperienza che deve essere stata. Innanzitutto, come hai reagito quando ti è arrivata la convocazione? 

La convocazione ufficiale è arrivata alla fine dei Campionati Italiani, che abbiamo fatto a inizio luglio a Napoli. Devo dire che sì, me lo aspettavo, però finché non hai la certezza non sei mai sicuro al 100%. Ma già le gare erano andate bene, perciò la convocazione era proprio quel tassellino in più che si aggiungeva. Hanno iniziato a chiamare in ordine alfabetico, perciò io ero praticamente per primo. Dopo di me c’era Simone Barlaam [7 volte campione del mondo, 8 volte campione europeo e vincitore di 4 medaglie a Tokyo 2021] e un altro ragazzo, che ci sperava ma non se lo aspettava più di tanto. Eravamo noi tre, tutti alla prima convocazione per una Paralimpiade: stavamo tremando. Ai convocati davano un finto biglietto per Tokyo, come gesto simbolico. Mi ricordo che, quando lo abbiamo ricevuto, ci guardavamo con il biglietto in mano, come per dire: «Oddio, che cosa sta succedendo? Non è vero!». 

 

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Da quel momento, in un modo o nell’altro, è cambiato tutto. Immagino anche nella tua routine di allenamento.

Sì, da quel momento abbiamo iniziato a lavorare ancora di più. Anche se era da gennaio che ci stavamo dedicando completamente alla preparazione. Cosa tanto più difficile se consideri che, soprattutto nei primi quattro mesi, la convocazione era una speranza. Non c’era alcun tipo di certezza, anche perché ci sono stati problemi di classificazione. Negli sport paralimpici, infatti, ci sono diverse classi, che dividono gli atleti in base al livello e al tipo di disabilità. Su una condizione completamente stabile la classe resta fissa: ti classificano, ti assegnano a una classe e ci rimani, non puoi più cambiare. Per altri, invece, scade dopo un tot. Soprattutto la prima volta che ti classificano, infatti, si considera anche la possibilità che il fisico cambi con l’allenamento, che emergano delle problematiche o che, semplicemente, con la crescita ci siano dei cambiamenti. Perciò dopo alcuni anni, si rifa. A me stava per scadere, e la classificazione precedente era andata male. C’erano state delle incomprensioni con i classificatori, come avevano ammesso loro stessi. Già allora – si parla di due anni fa – avrei dovuto essere confermato per le Paralimpiadi Tokyo 2021, però non erano sicuri della mia classe e mi avevano messo come “rivedibile”. Perciò, dopo due anni, mi sono sottoposto di nuovo alla valutazione. 

Quindi il sogno di Tokyo era una pulce nell’orecchio già da due anni.

Sì, esatto. Esistono due tipi di riclassificazione: una italiana, che vale solo per le gare nazionali, e una internazionale, che deve essere richiesta dalla Federazione Italiana. Se non hai quella, non puoi partecipare alle competizioni internazionali. Io ho fatto la prima classificazione internazionale nel 2019, che è quella che è risultata dubbia, sia per problemi tecnici sia perché avevo appena iniziato e i classificatori preferivano aspettare che crescessi come atleta. Bisogna dare al fisico il tempo di crescere con gli allenamenti, per capire come affrontare eventuali problematiche. Per le Paralimpiadi Tokyo 2021 dovevo per forza farmi riclassificare. 

Perciò, avendo una classificazione in ballo, ti sei dovuto allenare come se dovessi partire per Tokyo, ma senza averne ancora la certezza. 

Esattamente. Non era niente di certo, mi allenavo nella speranza che la classificazione andasse bene. Da gennaio ad aprile, quando ho fatto la classificazione, mi sono allenato per una speranza. L’idea era: “Mi alleno per cercare di andare a competere con Simo [Simone Barlaam]”. Quella era la meta. Mi dicevo: “Poi, se cambia qualcosa, io sono già pronto. Se non cambia, vediamo se riusciamo comunque a partecipare, anche senza nessun tipo di possibilità”. 

Immagino che lavorare senza certezze sia stato più difficile del solito. Pensi che l’incertezza sulla convocazione abbia avuto una ricaduta psicologica durante gli allenamenti?

Assolutamente. All’inizio era tutto molto ipotetico, è stata la parte più complicata della preparazione. Poi, una volta che ho avuto un minimo di certezza, ho sentito finalmente di stare lavorando per qualcosa. Prima, invece, era tutto solo nell’eventualità di. Abbiamo iniziato a fare 11 allenamenti in acqua, più 3 in palestra, a settimana, perciò il solo pensiero di stare facendo tutto per niente era devastante. Arrivavi al punto che la tua routine era piscina-casa-mangi-dormi, piscina-casa-mangi-dormi, e così via. Ho provato anche a fare qualcosa con gli amici o uscire, ma non si poteva fare. Oltre ad essere sempre distrutti, c’era la paura che se solo uno di noi fosse risultato positivo ci saremmo dovuti fermare tutti almeno due settimane, interrompendo la preparazione. Dopo un paio di uscite dopo gli Europei mi sono detto “No, sto facendo troppa fatica per rischiare tutto all’aria a me e ai compagni”.

Però alla fine ne è valsa la pena. La classificazione è andata bene.

Sì, alla fine la classificazione è andata bene e tutto questo lavoro è venuto fuori… Sono stato riconfermato S8. Ero già S8 in Italia, ma nel 2019 mi avevamo messo S9 nella classificazione internazionale. Quest’anno mi hanno rimesso con gli S8. È tornato tutto come doveva essere. 

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Alberto Amodeo
E finalmente la strada per Tokyo è stata spianata. Quali sono state le tue impressioni una volta arrivato in Giappone?

Siamo arrivati il 12 luglio, e fino al 21 siamo stati a Sendai, in ritiro solo noi del nuoto Italia. Abbiamo fatto una decina di giorni praticamente in galera. Non avevamo contatti con nessuno. Avevamo dei piani dell’hotel dedicati solo a noi, con gli ascensori riservati solo per noi, stanze singole, mensa solo per noi…Potevamo uscire dall’hotel solo con il pullman per andare in piscina. 

Gli allenamenti di questi primi 10 giorni giapponesi erano altrettanto intensivi?

No, la preparazione era fisicamente meno intensiva, perché le gare si avvicinavano e bisognava iniziare a scaricare e recuperare energia. Pian piano abbiamo iniziato a non farne più due al giorno, a diminuire un po’. È stato più che altro pesante psicologicamente. Eri lì, chiuso in stanza da solo con i tuoi pensieri, e ti dicevi: «Ok, tra tot giorni iniziano le gare». Iniziava a salire l’ansia. 

La compagnia dei compagni di squadra ha aiutato a superare il nervosismo? 

Assolutamente, ha aiutato tanto. Anche se teoricamente dovevamo restare sempre separati. All’inizio siamo stati al gioco, ma dopo la prima settimana abbiamo allentato un po’ la presa. Dopotutto eravamo tutti già vaccinati da mesi, tamponati ogni mattina, e soprattutto vivevamo tutti in una bolla. Ci siamo detti che, dopo essere stati sempre insieme in pullman e in vasca, se ci fossimo visti qualche volta per allentare la tensione non sarebbe successo nulla. E così è stato. È stato importante anche solo per staccare la testa: se inizi a pensarci 20 giorni prima, arrivi alla gara che sei già stufo. 

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Alberto Amodeo e alcuni dei suoi compagni di squadra
Finito il ritiro, vi siete spostati al villaggio Olimpico. Immagino fosse un ambiente molto diverso. Quali sono state le tue impressioni?

Arrivare nel villaggio è stata una ventata d’aria fresca. Tutta l’Italia alloggiava in uno stesso palazzo, che condividevamo con Singapore. C’era tutta la delegazione, perciò si incrociavano sempre altri atleti: abbiamo fatto qualche conoscenza. Poi, comunque, si poteva girare per il villaggio.

Immagino che si trattasse di un ambiente controllassimo, sul fronte Covid. Soprattutto dopo aver superato tutte le riserve del Giappone sulla effettiva messa in atto delle Paralimpiadi di Tokyo 2021. 

Sì, eravamo costantemente sotto osservazione. Facevamo un tampone salivare ogni mattina e, anche quando ci muovevamo per il villaggio, ovviamente lo facevamo tenendo sempre con la mascherina e facendo attenzione a non mescolarci troppo, senza mai rischiare. Avevamo letto di quanto accaduto alle Olimpiadi, dei positivi che erano stati trovati. Anche da noi c’è stato qualche caso, ma pochissimi: eravamo molti meno, perciò in proporzione più difficile che risultassero casi. 

La posticipazione delle Paralimpiadi causa Covid ha influito sulla tua preparazione?

In realtà, ha influito in positivo. Se le Paralimpiadi fossero state nel 2020, sicuramente non avrei potuto partecipare. Sia per il problema di classificazione, sia per una questione di allenamento. Mi ricordo che nel momento in cui, durante in lockdown, hanno annunciato che Olimpiadi e Paralimpiadi Tokyo 2021 sarebbe state rimandate di un anno, ho ricevuto la chiamata del mio allenatore. «Per il 2021 ce la possiamo fare», mi aveva detto. «Appena si può ricominciamo gli allenamenti e tiriamo avanti fino a Tokyo». 

Quindi il Covid una cosa buona l’ha fatta. 

Nel mio caso sì. Prima della quarantena stavo malissimo in acqua, perché avevo la mononucleosi. Continuando ad allenarmi nonostante non stessi bene probabilmente sarebbe stato sempre peggio e non mi sarei mai ripreso del tutto. Il Covid mi ha dato la scusa per fermarmi un attimo e recuperare. È brutto da dire, ma per me è andata bene così.

Non è affatto brutto da dire, anzi: forse conviene concentrarsi sulle poche cose che sono andate bene in quel periodo da dimenticare. E a proposito di cose andate a buon fine, è arrivato il momento di chiederti della tua medaglia. Un argento nei 400 m stile libero. Te lo saresti mai aspettato?

Assolutamente no, è stata al 100% una cosa inaspettata. Anche solo per il tempo: sono migliorato di 5 secondi rispetto ai Campionati Italiani di Napoli, in cui già avevo fatto un tempo ottimo: anzi, era il tempo che speravamo di fare alle Paralimpiadi Tokyo 2021. Già lì era andata benissimo. La gara di Tokyo l’ho rivista più volte, sia per conto mio che con il mio allenatore, e rivedendo la mia prestazione mi sono proprio reso conto di quanto sia stata pazzesca. 

Prima della gara, chiacchierando con il mio allenatore mentre andavamo in piscina, dicevamo che i primi due che avrebbero staccato tutti subito sarebbero stati sicuramente il russo che poi ha preso l’oro [Andrei Nikolaev] e il ragazzo che invece è arrivato terzo [l’americano Torres]. Pensavamo che saremmo stati in due o tre a lottare per il terzo posto. L’obiettivo era il bronzo, ed era già un grandissimo obiettivo. Di certo non mi aspettavo niente del genere, figuriamoci un argento. 

Cosa ti ricordi della gara?

Mi ricordo soprattutto che nell’ultima virata ho visto il russo e ho detto «Ok, se c’è lui sono messo bene». Non vedevo bene gli altri perché ero in una corsia molto esterna, quindi non riuscivo a controllare troppo la vasca. Però vedevo che sul bordo tutto lo staff della nazionale stava saltando, erano tutti felicissimi. Ho pensato che fosse un buon segnale. Poi sono arrivato, ho toccato e ho visto che sul blocco c’erano 2 lucine. Se non si accende niente, sei arrivato quarto, quinto… non sei sul podio, insomma. Se se ne accendono 3 sei terzo, 2 secondo, con 1 sola luce sai di essere arrivato primo. Ho visto le 2 lucine e mi sono girato di scatto, strizzando gli occhi per cercare di vedere di vedere il tempo. L’ho visto e sono impazzito. 

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Alberto Amodeo in vasca a Tokyo 2021
Quindi hai capito subito, appena arrivato, che eri sul podio. 

Sì, l’ho capito subito, ma ero incredulo. Sono arrivato, ho visto il russo, ho visto che non c’era nessun altro e ho detto: «Oddio, non è possibile, dove sono gli altri?». Lì è stata una grandissima emozione… più che altro è stata la soddisfazione di dire “Guarda cosa mi sono guadagnato”. Soprattutto se pensi a tutto il lavoro che c’è stato dietro. Tutti i momenti in cui mi sono chiesto se ne valesse la pena, se stessi buttando tempo con tutta quella fatica, sono stati ripagati. Ero felicissimo già solo di essere a Tokyo, con i miei amici: era l’obiettivo di tutte queste stagioni. Figuriamoci di vincere una medaglia. 

L’arrivo al podio, quindi, è stato il momento che più ti ha emozionato?

È stato fantastico, ma penso che il momento migliore sia stato dopo la gara, quando ero giù in zona mista, dove fanno le interviste. Ho visto arrivare Simo [Simone Barlaam] e Fede [Federico Morlacchi, vincitore di 7 medaglie paralimpiche, 6 volte campione mondiale e 14 volte campione europeo] con la bandiera, correndo in costume. Fede piangeva, Simo urlava… me lo ricorderò sempre. Fede mi ha introdotto alla squadra e mi ha praticamente cresciuto, Simo è stato il mio compagno di avventure per questi anni. Già solo essere lì tutti assieme è stato bellissimo. Avere il loro supporto alla fine di questo percorso è stato fondamentale.

 

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Pensi che i sacrifici imposti dal Covid abbiano contribuito a farti dare tutto in vasca? 

Non lo so, forse a livello inconscio. Più che altro, quello che ha davvero contribuito alla prestazione è stato che ci abbiamo lavorato davvero tantissimo. Sono arrivato anche abbastanza tranquillo. Forse anche per il fatto che era la mia seconda gara, perciò avevo già rotto il ghiaccio. Per la prima, quella dei 100 m stile libero, sì che ho avuto tanta ansia: in camera di chiamata stavo tremando. Per la seconda, invece, ero arrivato abbastanza sicuro di me, sapendo bene come giostrarmi le andature. Perché per la 400 m devi mantenere un’andatura più veloce e costante possibile, perciò subentra anche la strategia. Avendo lavorato tanto sui ritmi da tenere, sono arrivato sapendo bene cosa fare e come gestire la gara. Fisiologicamente, poi, sono uno che all’inizio arranca un po’ in allenamento. Poi, man mano, mentre mi scaldo, riesco a dare il meglio. Sono un diesel, non sono mai stato troppo esplosivo, perciò la 400 metri è una distanza più nelle mie corde. Anche questo mi dava sicurezza. Sono entrato in acqua pensando solo alla gara. 

Prima dell’incidente avresti mai pensato di finire sul gradino di un podio olimpico? Già pensavi a una carriera sportiva, o è stato un sogno nato dalla volontà di ripartire?

No, è stato un sogno che è arrivato con il tempo. Da piccolo non ci avrei mai pensato. Quando ho iniziato a nuotare, dopo l’incidente, non conoscevo nulla del mondo paralimpico. Un esempio stupido: sono arrivato e al secondo allenamento è venuto a raccattarmi Fede [Federico Morlacchi], io non sapevo nemmeno dove dovessi andare. Era il 2017, perciò era l’anno dopo Rio: lui aveva appena vinto quattro medaglie paralimpiche, ma io non avevo idea di chi fosse. 

Ho iniziato a nuotare scetticamente, più per fare un piacere alla mia professoressa di ginnastica del liceo, la professoressa Musi. Lei mi ha spinto a provare: si era impegnata e mi aveva dato il contatto del mio allenatore, che lei conosceva. Poi stranamente, mi è piaciuto. 

Tu arrivavi dalla pallanuoto, giusto?

Esatto. Da bambino avevano provato a tirarmi dentro il pre-agonismo di nuoto, ma si parla di quando avevo 10 anni. Poi ho scoperto la pallanuoto proprio tramite l’istruttore di nuoto che avevo allora. Ho provato e mi è piaciuto di più, così ho continuato. E ho continuato anche dopo l’incidente, per un periodo. Ma era un po’ strano: la pallanuoto è tanto di gambe, perciò facevo fatica. 

Pallanuoto e nuoto sono due mondi simili ma diversi. È uno stile di nuotata diverso, senza contare che c’è una rivalità intestina tra nuotatori. Se ci si allena di fianco, è inevitabile darsi fastidio a vicenda. Io vedevo i nuotatori andare avanti e indietro in vasca, e mi domandavo come facessero a non annoiarsi… Poi, invece, ti scatta quel masochismo di voler far fatica e di dare sempre il meglio che ti spinge a continuare. 

Ti manca mai la pallanuoto?

In realtà non l’ho mai lasciata davvero, quest’anno ho fatto il campionato. Dopo il mio incidente avevamo anche provato a fare la pallanuoto paralimpica, c’era un progetto che si è un po’ arenato. Ora si sta di nuovo muovendo qualcosa. Si sta pensando di fare anche la squadra di pallanuoto della Polha Varese, perché quest’anno – a parte la pallanuoto – qualsiasi classifica inventata dalla Federazione l’abbiamo vinta noi. Italiani giovanili, italiani a squadre, squadre maschili, squadre femminili… abbiamo vinto tutto. Non possiamo lasciare che la pallanuoto sia l’unica eccezione senza provarci. Se sui 6/7 allenamenti che facciamo, uno lo dedichiamo alla pallanuoto ci si può pensare. Anche solo per divertirsi. 

Oltre alla pallanuoto paralimpica, hai altri progetti per il prossimo futuro?

Beh, innanzitutto voglio riprendere il mano la mia carriera universitaria, che avevo lasciato un po’ da parte durante quest’anno. Frequento Ingegneria dell’Automazione al Politecnico di Milano, perciò ributtarmi sui libri sarà forse più complicato delle Paralimpiadi Tokyo 2021. Tra l’altro io e Simo, anche lui iscritto al Poli, abbiamo di recente incontrato il Preside, per le congratulazioni. Volevo chiedergli di darmi invece qualche CFU, ma ho lasciato perdere… anche perché, facendo Automazione, me lo sarei ritrovato in aula. 

Recentemente, poi, abbiamo incontrato Sala, siamo andati a Roma da Mattarella e da Draghi… essere lì, davanti a loro, e vedere il Presidente così fiero di noi è stato pazzesco.

 

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Anche solo per il fatto di essere lì tutti insieme, tutti gli olimpici e tutti i paralimpici medagliati, era un’occasione che si vede raramente. Anche a Tokyo, non siamo mai stati tutti insieme, nemmeno noi paralimpici. Le misure del Covid, infatti, imponevano di rientrare in Italia entro le 48 ore dall’ultima competizione, perciò man mano il villaggio si è svuotato. Essere tutti insieme è stata un’emozione. Tra l’altro ci siamo mossi con un pullman con le nostre facce sopra, addirittura scortati dalla polizia, è stato molto bello. In più, la sera prima ci avevano anche invitato a una festa con nuoto olimpico e nuoto paralimpico insieme, con tutti i convocati a Tokyo 2021. Non partecipavo a una festa da tantissimo tempo, ci siamo divertiti molto. Siamo arrivati con la voglia di divertirci e così è andata. 

Nonostante i problemi di classificazione, la pandemia e i ritardi di questa edizione, dunque, alla fine queste Paralimpiadi di Tokyo 2021 si sono concluse davvero bene. 

Sì, nel migliore dei modi. 

 

Non possiamo che concordare, e rinnovare le congratulazioni ad Alberto Amodeo per la sua medaglia d’argento alle Paralimpiadi di Tokyo 2021. Grazie per aver raccontato a MAM-e la tua storia, fatta di sogni, sacrifici e tante soddisfazioni. 

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Editor: Valentina Baraldi

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