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Pussy Riot, quando la libertà di espressione viene calpestata

Il caso Pussy Riot dalle strade di Mosca, al mondo “grazie” a un processo discutibile e ad accuse che ledono il diritto di parola e espressione e lasciano l’occidente indignato.

Lo scorso 17 agosto è stata ufficializzata la condanna a due anni di carcere per Maria Alyokhina (24 anni), Ekaterina Samutsevitch (29 anni) e Nadezhda Tolokonnikova (22 anni) le tre Pussy Riot accusate di teppismo premeditato, e soprattutto di offesa alla confessione ortodossa.

E noi che pensavamo di avere dei problemi con il Vaticano… comunque rifacciamo un passo indietro per capire, o quanto meno, cercare di capire, come funzionano le cose nella mai così “lontana” Russia.

Le Pussy Riot sono un collettivo punk tutto al femminile formatosi nel 2011 e composto da una decina di membri effettivi, più altrettanti tecnici, che per portare avanti la loro battaglia politica intrisa di femminismo e protesta, sono costrette all’anonimato. E quindi, nascoste da cappelli di lana e abiti coloratissimi si sono impegnate a favore delle condizioni delle donne russe e contro i presunti brogli tramite cui Putin si sarebbe assicurato la rielezioni, con performance estemporanee e flash mob per le strade di Mosca. Ognuna delle Pussy Riot ha uno pseudonimo tanto insignificante quanto semplice (Madre, Passamontagna, Bottone e simili) proprio perché le individualità non hanno spazio all’interno del collettivo, a contare è solo il messaggio e il gruppo, che in questo modo può continuare ad agire anche se alcune delle ragazze, come in questo caso, vengono arrestate o scoperte.

La loro lotta era stata portata avanti, fino allo scorso marzo, attraverso video di perfomance improvvisate postati sulla rete, ma certo, tentare di inscenare un’esibizione (una canzone/invocazione alla Vergine Maria che aveva il primo ministro come soggetto) contro Putin nella Cattedrale di Cristo Salvatore,  il cuore della Chiesa Ortodossa, è stato un affronto punibile con la morte! Ops, volevo dire, con un processo penale, del resto non siamo nel medioevo (ma poco ci manca).

Le tre Pussy Riot sono state arrestate a seguito delle indagini il 3 marzo, hanno negato qualsiasi implicazione e rifiutato di fare i nomi di altre compagne, ma per loro il formale atto d’accusa è stato depositato solo dopo quasi 3 mesi di detenzione, il 4 giugno (ben 2.800 pagine!!). Poi, d’un tratto, i tempi si sono accorciati non lasciando quasi alle ragazze e ai loro avvocati il tempo di preparare una valida linea difensiva. Il processo vero e proprio è iniziato a Mosca il 30 luglio e nel dibattimento si è sottolineata l’ostilità e l’odio (presunti) delle donne verso la religione e i cristiani ortodossi. La pena richiesta dell’accusa era di tre anni di reclusione (su un minimo di due e un massimo di sette) da cui non sarebbero stati scontati i mesi di reclusione già trascorsi. Il comportamento delle ragazze è stato bollato come socialmente pericoloso e fomentatore di guerra civile.

Dopo una breve pausa il 17 agosto il tribunale si è pronunciato sul caso condannando le donne a due anni di carcere e scatenando un’ondate di dissenso da una parte all’altra dell’oceano, nonché una nuova serie di arresti fuori dal tribunale stesso dove una numerosa folla si era riunita per manifestare. Tra gli arrestati spiccano i nomi di Serghei Udaltsov, leader del fronte della sinistra e Gary Kasparov, noto campione di scacchi e membro della coalizione l’Altra Russia.

Il mondo occidentale si è schierato a favore delle ragazze con manifestazioni di piazza da Milano, a Londra a New York, e con inviti da parte di esponenti dei governi a rivedere la sentenza, che appare totalmente al di fuori dei valori europei e lesiva della democrazia e della liberta di parola.  In favore delle tre esponenti del collettivo russo si è mossa anche la Union of Solidarity with Political Prisoners che ha definito le tre donne prigioniere politiche, e Amnesty International, che le ha definite prigioniere di coscienza in ragione della severità della pena inferta loro dalle autorità russe.

Le Pussy Riot, fin ora poco conosciute al di fuori del confini russi, hanno adesso ricevuto pubblico appoggio anche da molti musicisti tra cui Bjork, Madonna, Patti Smith, Faith no More, Franz Ferdinand, Peter Gabriel, Paul McCartney, Sting, Red Hot Chili Peppers, Billie Joe Armstong, Pete Townshend e Rage Against the Machine.

Ovviamente anche gli USA e l’Unione Europea si sono espressi sul caso dichiarandosi preoccupati per le irregolarità segnalate, le condizioni di detenzione, la maniera in cui il processo si è svolto e le intimidazioni contro avvocati e giornalisti. La rappresentante UE è arrivata a richiamare il paese al rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti civili e umani, invitando la Russia a garantire alle accusate quanto meno un giusto processo.

Il “Patriarca di Mosca e di tutte le Russie” Cirillo I ha espresso parole di condanna verso i credenti che hanno chiesto il perdono per le “teppiste”, ma molti russi si schierano comunque contro il processo.Questo ha messo un imbarazzato Putin sotto tiro, se da una parte una revisione della sentenza o la grazia potrebbero fermare il circo mediatico che ha messo il primo ministro sotto i riflettori, la stessa potrebbe anche inimicargli il patriarca ortodosso.

Sembra di essere tornati indietro di secoli, si sente nell’aria l’odore di bruciato dei roghi della caccia alle streghe! Eh, si signori, questo è il 2012 e questo è uno stato facente parte del Consiglio d’Europa, Dickens, scandalizzato, avrebbe sicuramente tratto spunto per un romanzo da questa vicenda, con pungente critica e  tagliente ironia, peccato che sia morto nel 1870!

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