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Una noiosa Paquita

Firmato da Pierre Lacotte al Palais Garnier di Parigi, ha deluso i palati più fini la versione del celebre balletto di Mazilier, poi rivista da Petipa

Gran ricostruttore di balletti romantici, dall’11 al 30 dicembre il coreografo Pierre Lacotte ha tenuto banco al Palais Garnier di Parigi con la sua versione di Paquita. Ma chi si fosse atteso voli pindarici sarà certamente restato deluso.

Il balletto in sé non è dei più memorabili, soprattutto a causa di una trama frivola e di una musica evanescente. E per quanto lodevole, l’apporto di Lacotte non riesce a portarlo al livello del capolavoro. Piuttosto, gli spettatori presenti alla rappresentazione del 28 dicembre hanno avuto la possibilità di apprezzare l’amalgama tra l’estro collaudato dell’étoile Agnès Letestu e la grazia e l’inventiva del giovanissimo Florian Magnenet, un ballerino dallo stampo di un autentico aristocratico.

La versione originale di Paquita risale al 1846, su una coreografia di Joseph Mazilier e musica di Edouard-Marie-Ernest Deldevez. In seguito il grande coreografo russo Marius Petipa, che aveva incominciato a interessarsi di Paquita fin dal 1847, rimontò lo spettacolo in una versione che vide la luce nel 1881 al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo. Questa versione "russificata" rimase in repertorio al Mariinsky fino agli inizi del XX secolo, poi cadde in desuetudine perché considerata poco in sintonia con il regime sovietico. L’unico passaggio che continuò a essere rappresentato con una certa continuità fu il Grand pas del secondo atto, non previsto dalla coreografia originale del 1846 e musicato da Ludwig Minkus per la ripresa di Petipa del 1881. In seguito, circolarono altre versioni del balletto come, ad esempio, quella di Oleg Vinogradov, che rimase in repertorio all’Opéra National de Paris fino al 2001, quando l’ente lirico incaricò Lacotte di allestire un’operazione di restauro.

La nuova versione ha mantenuto il Grand pas, sia pure con alcune modifiche, e ha apportato numerosi tagli e aggiustamenti alla coreografia, mentre la partitura è stata rielaborata e riorchestrata da David Coleman. Per questo lavoro di editing, Lacotte si è avvalso di alcune annotazioni ritrovate in Germania riguardanti la regia, la pantomima e due variazioni di Joseph Mazillier. La vicenda del balletto è abbastanza semplice. A Saragozza all’epoca in cui era occupata dall’esercito napoleonico, la gitana Paquita mette in salvo da un complotto ordito da quattro banditi Lucien d’Hervilly, un giovane ufficiale francese. Ma in realtà, Paquita è una giovane aristocratica, che nell’infanzia era stata rapita dai gitani. Una volta venute a galla le sue nobili origini, la giovane ritrova l’ufficiale da lei tratto in salvo nel corso di un ballo al Palazzo del governatore. E così, Paquita e Lucine possono finalmente convolare a giuste nozze.

Lo spettacolo del 28 dicembre ha ottenuto applausi scroscianti da parte del pubblico meno esigente dei periodi delle festività natalizie. Merito soprattutto della bella coppia di protagonisti: Agnès Letestu, tecnicamente perfetta, e il ventiseienne Florian Magnenet, uno dei danzatori più dotati e promettenti del corpo di ballo dell’Opéra National de Paris. Ma a uno sguardo più attento, la versione di Pierre Lacotte non appare del tutto convincente, soprattutto a causa dello stacco troppo netto tra il primo e il secondo atto.

Il balletto esordisce con scene campestri, villanelle, danze spagnole e gitane, seguite poi dalla noiosa sequenza del ratto abortito. La seconda parte si risolve in un interminabile e ripetitivo Grand pas, preceduto da una successione di quadriglie, mazurke, galop-pas de deux-valse polonaise. Le scenografie e i costumi di Laura Spinatelli sono suggestivi, anche se sprovvisti di grande inventiva. Nella fossa, l’Orchestre Colonne diretta dall’onesto Paul Connelly ha propinato a un pubblico più interessato a quel che avveniva sul palcoscenico una musica tra le più sciroppose e insignificanti.

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