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Zlatan Ibrahimovic: “Sono tornato al Milan per poterlo cambiare”

L’attaccante del Milan Zlatan Ibrahimovic ha rilasciato una imperdibile intervista al Corriere della Sera, toccando vari temi, dal ritorno al Milan a Berlusconi, da Lukaku a Donnarumma. Il solito, unico, Zlatan, che come sempre non ha dato risposte banali e su certi argomenti ha sorpreso totalmente.

Zlatan Ibrahimovic: “Sono tornato al Milan perchè era il club messo peggio, volevo cambiarlo”

Qual è il suo primo ricordo?

«La Jugoslavia. Mi portavano da piccolo, in macchina, in treno. C’era ancora il comunismo. Un altro mondo».

Che bambino era?

«Un bambino che ha sempre sofferto. Appena nato, l’infermiera mi ha fatto cadere da un metro d’altezza. Io ho sofferto per tutta la vita. A scuola ero diverso: gli altri erano biondi con gli occhi chiari e il naso sottile, io scuro, bruno, con il naso grande. Parlavo in modo diverso da loro, mi muovevo in modo diverso da loro. I genitori dei miei compagni fecero una petizione per cacciarmi dalla squadra. Sono sempre stato odiato. E all’inizio reagivo male».

Qual è stato il gol che le ha dato più felicità?

«Forse la rovesciata da trenta metri, in Nazionale, contro l’Inghilterra. Gli inglesi mi hanno sempre disprezzato, dicevano che contro di loro non segnavo mai…».

Se è per questo, lei quando era al Psg disse che la Francia è un Paese di merda.

«Marine Le Pen chiese la mia espulsione. Il giorno dopo temevo le reazioni per strada. Invece i francesi mi avvicinavano per congratularsi: Ibra hai ragione, è davvero un Paese di merda».

È stato più felice per il gol agli inglesi o per la nascita di Maximilian e Vincent?

«Non c’è confronto. La nascita di un figlio è la cosa più importante che possa succederti. Una vita che nasce dalla tua. Ricordo quando arrivò Maxi: lo presi, me lo misi sul petto… Ricordo quando Vincent da Stoccolma mi disse: “Papà, mi manchi”. Una coltellata. Volevo mollare tutto, pure il Milan, e tornare da lui».

È vero che i suoi figli odiavano il calcio?

«Li portavo a palleggiare: uno piangeva, l’altro guardava gli uccelli. Ora giocano a calcio tutti e due. Al provino sono andati con il nome della madre, Seger. Li hanno presi. Maxi ha scelto di chiamarsi Ibrahimovic. Vincent deve ancora decidere»

Come ricorda la guerra in Jugoslavia?

«Mio padre ne soffriva tantissimo. Ogni giorno arrivava la notizia della morte di una persona che conosceva. Lui aiutava i rifugiati. Però cercava di tenermi al riparo. Ha sempre tentato di proteggermi. Quando morì sua sorella, in Svezia, non mi lasciò andare all’obitorio. Però, quando è morto mio fratello Sapko, di leucemia, io c’ero. E mio fratello mi ha aspettato, ha smesso di respirare davanti a me. L’abbiamo sepolto con il rito musulmano. Papà non ha messo una lacrima. Il giorno dopo è andato al cimitero e ha pianto dal mattino alla sera. Da solo».

In partita chi l’ha cambiata?

«Capello mi ha insegnato a badare al gol. E mi ha massacrato, di continuo. Un uomo molto duro. Il primo giorno, dopo la conferenza stampa, i festeggiamenti e tutto, entro nello spogliatoio, lui sta leggendo la Gazzetta dello Sport,e io bello gasato gli faccio: “Buongiorno mister!”. Lui non posa il giornale. Resto un quarto d’ora lì, con la Rosea in faccia. Poi Capello si alza, chiude il Gazzettone, e se ne va, senza dirmi una parola. Come se non esistessi».

Lei nel libro parla bene di Moggi.

«Con me è stato il top».

Ma a causa sua sono stati tolti due scudetti alla Juve.

«Quegli scudetti li abbiamo vinti, e nessuno ce li può togliere. Nessuno può cancellare il sudore, la fatica, la sofferenza, gli infortuni, i gol. Per questo, quando dicono che in carriera ho vinto undici scudetti, li correggo: sono tredici. Moggi era uno che incuteva soggezione, anche se non a me. Come Berlusconi».

Di Berlusconi cosa pensa?

«Troppo simpatico. Una domenica sono in tribuna a San Siro, mi fa sedere accanto a lui. Poi mi fa: “Ibra, ti dispiace scalare di un posto? Sta venendo una persona molto importante”. Io scalo, scala anche Galliani. Penso che stia arrivando un politico. Invece arriva una donna bellissima, su tacchi impressionanti. Berlusconi mi strizza l’occhio: “Persona molto importante…”. E forse per lui lo era davvero».

Materazzi com’era?

«Entrava da dietro per fare male; e noi calciatori capiamo subito quando uno entra per fare male o semplicemente entra duro, come Chiellini, come Stam, come Maldini…».

Paolo Maldini: grande persona, figura limpida dello sport italiano…

«Paolo Maldini era cattivissimo. Se voleva farti male sapeva come fare. Ma lo evitava, perché metteva la sua giusta cattiveria al servizio della squadra».

Materazzi invece?

«Con lui avevo un conto aperto da anni. L’ho saldato in un derby. Quello entra a piedi levati, io salto, lo evito, e lo colpisco con una gomitata alla tempia. Pippo Inzaghi commentò: “Il più bel derby della mia vita: 1 a 0, gol di Ibra, Materazzi in ospedale”. Ovviamente stava scherzando».

Con Lukaku cos’è successo?

«Derby di Coppa Italia. Lui litiga prima con Romagnoli, poi con Saelemaekers; io intervengo per difendere i compagni, e Lukaku mi attacca sul piano personale. Da restare choccati. Eppure eravamo stati compagni al Manchester».

E lei gli aveva proposto una scommessa: 50 sterline per ogni stop sbagliato…

«Era un modo per farlo migliorare (Ibra ride). E comunque la scommessa lui non l’ha accettata. Lukaku ha un grande ego, è convinto di essere un fuoriclasse, ed è davvero forte. Ma io sono cresciuto nel ghetto di Malmoe, e quando qualcuno mi viene sotto a testa bassa, lo metto sotto.  Così l’ho colpito nel suo punto debole: i rituali della mamma. E lui ha perso il controllo. Anche se mi è rimasto un dubbio atroce…”

Quale?

“Quel derby l’abbiamo perso. Io sono stato espulso. Poi mi sono infortunato. Sono successe un sacco di cose storte. Vuoi vedere che il rito Lukaku me l’ha fatto davvero? Così ho chiesto agli amici credenti di pregare per me. Devo saldare il conto anche con lui. Spero di incontrarlo presto”.

Per strada?

“Ma no, sono cose che vanno risolte in campo. Io non odio nessuno, tanto meno Lukaku. L’odio è un sentimento impegnativo”.

Chi è il calciatore più forte della storia?

«Ronaldo il Fenomeno. Da piccolo lo imitavo».

E Maradona?

«Maradona è un mito. Vedendo un documentario su di lui avevo deciso di andare al Napoli, per fare come Diego: vincere lo scudetto».

All’epoca lei era a Los Angeles.

«Ma ero stanco dell’America. Pensavo di smettere. Mino mi disse: sei matto, tu devi tornare in Italia. Con il Napoli era fatta; ma poi De Laurentiis cacciò Ancelotti. Allora chiesi a Mino: qual è la squadra messa peggio, che io posso cambiare? Rispose: ieri il Milan ha perso 5 a 0 a Bergamo. Allora è deciso, dissi: andiamo al Milan. È un club che conosco, una città che mi piace».

E lei ha cambiato il Milan.

«All’inizio in allenamento non correva nessuno. Li ho affrontati uno per uno, e non in disparte, davanti agli altri: in allenamento bisogna ammazzarsi di lavoro. Se io corro, se io mi ammazzo, il mio compagno correrà e si ammazzerà per me. L’hanno capito tutti, tranne uno».

Chi?

«Leao all’inizio non mi dava retta. Ci è arrivato per conto suo. Infatti è molto migliorato».

È stato giusto o sbagliato fischiare Donnarumma?

«Gigio è un grandissimo portiere. Se gli avessero dato quel che chiedeva, sarebbe rimasto al Milan. Ora deve fare casino per essere titolare nel Psg. Non esiste che i sudamericani impongano quell’altro. Gigio è più forte».

Farà l’allenatore?

«Non lo so, è così stressante… Farò qualcosa capace di darmi adrenalina. Ma finché reggo, faccio il centravanti. Voglio giocarmi lo scudetto fino all’ultima giornata. E andare al Mondiale in Qatar».

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