Boss
Spettacolo,  Musica

The Boss e l’impegno politico. Il rocker militante

Mancano solo due giorni al concerto milanese del Boss. Le canzoni di protesta e l’impegno politico di Springsteen

A partire dall’inizio della settimana vi accompagniamo con il nostro speciale percorso di avvicinamento all’attesissimo live milanese del Boss. Lunedì, con il primo articolo, abbiamo analizzato l’album al centro del suo tour mondiale: ‘The River’; martedì ci siamo occupati degli incontri più importanti della sua vita; mercoledì di quando la sua musica è stata prestata al mondo del cinema; giovedì dei suoi amori letterariIl percorso, prima di concludersi con le puntate di  domani e domenica, continua oggi affrontando il tema delle visioni ideologiche del Boss e del suo impegno politico: un campo più delicato e scivoloso da affrontare, ma utile per comprendere la rilevanza di Springsteen come cantore sociale.

Springsteen, grande ‘magnete’ per le masse, ha da sempre attirato le golose attenzioni dei candidati alla Casa Bianca in cerca di una cassa di risonanza popolare come quella offerta dalla sua musica. Il primo fu Ronald Reagan, che durante un comizio e in piena campagna elettorale per la presidenzasi disse grande ammiratore di Springsteen.

La reazione del Boss, prevedibilmente contrario a questo tipo di cooptazione politica (anche, talvolta, quando giungeva da parte democratica), non tardò ad arrivare, durante un live: “So che Regan ha parlato bene delle mie canzoni, ma io penso che questa, per esempio, non l’ha mai sentita”, così dicendo introdusse provocatoriamente  ‘Johnny 99′ – il brano, contenuto nell’album ‘Nebraska’, racconta la storia di un operaio che dopo aver perso il lavoro si ubriaca e finisce con l’uccidere un uomo. Nonostante l’evidente contrasto ideologico e morale con il Boss, Ronald Reagan scelse la sua canzone ‘Born in the Usa’ per introdurre i suoi comizi: un brano anti-establishment diventò così paradossalmente il simbolo dell’America rampante degli Eighties.

Anni dopo, di fronte alle azioni politiche di George W.Bush, il Boss non mancò di esprimersi: schierandosi nettamente contro le sue scelte militari e la sua figura politica. Già prima delle elezioni la sua scelta di parte culminò con la partecipazione al ‘Vote for change tour’– una tournée di concerti organizzati da una serie di artisti nel corso del 2004, che ha avuto il chiaro obiettivo di dirottare il maggior numero di voti possibili verso il candidato democratico, John Kerry, ma i suoi sforzi e quelli dei colleghi non risultarono sufficienti.

Il Boss scese in campo imbracciando la chitarra anche per aiutare Barack Obama e favorire la sua elezione: seguì il futuro presidente americano fino alla chiusura dei comizi elettorali, esibendosi anche immediatamente dopo il suo insediamento alla Casa Bianca. L’attuale presidente degli Stati Uniti ha utilizzato la canzone ‘The Rising’ come colonna sonora per i suoi discorsi elettorali.

A cercare di sfruttare i temi popolari dei grandi cantori americani, per ultimo, è stato Donald Trump: oltre ad essere stato mandato al diavolo da Neil Young per aver utilizzato il suo brano ‘Rockin’ in the Free World‘ nei suoi comizi, l’aspirante nuovo presidente ha inserito, così come fece Reagan, il brano ‘Born in the Usa’ nella sua playlist elettorale. Nonostante la distanza dal candidato repubblicano, sarà dura per il Boss sponsorizzare nei prossimi mesi l’avversaria Clinton, non lontana dalle linee politiche neoliberiste e di deregulation finanziaria portate a termine dal marito Bill nel corso della sua presidenza.

Oltre al controverso rapporto con i leader politici, Springsteen ha scritto moltissime canzoni dedicate a scottanti temi sociali e politici, trattati senza usare mai facili scorciatoie retoriche: sarebbe lunghissimo stilare una lista completa, ma oltre ai brani già citati in precedenza, il Boss si è occupato del tema e dei pericoli legati all’uso dell’energia nucleare con nel brano ‘Roulette’.

Con ‘The Ghost of Tom Joad’ (dal disco omonimo del 1995) ha scritto uno dei suoi più affilati pezzi dedicati agli esclusi dal grande sogno americano, con ‘Lost in the flood’ uno dei suoi più toccanti brani contro la guerra, che descrive l’agghiacciante ritorno alla vita “normale” di un veterano del Vietnam, mentre ‘American skin (41 shot)’, dedicata ad Amadou Diallo, il giovane Guineano ucciso dalla polizia di New York nel 1999, è il brano antirazzista con in quale attirò aspre proteste anche da parte dei più conservatori tra i suoi fan.

In ultimo, non si tirò indietro rispetto a un tema particolarmente scottante negli anni Ottanta, quello dell’AIDS: scrivendo appositamente il pezzo ‘Streets of Philadelphia’’per il film di Jonathan Demme interpretato da Tom Hanks e Denzel Washington.

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