Archivio

Cindy Sherman in mostra al Moma di New York

L’artista statunitense si ispira alle parole di Cecil Beaton: “Fare di sé un’opera d’arte”

Provocatoria, enigmatica, trasformista, dissacrante, attrice e regista di se stessa. Cindy Sherman è stata e continua ad essere tutto ciò, mettendo puntualmente il pubblico davanti ad immagini talmente dirette e accecanti, da risultare invadenti; scomodi ritratti della contemporaneità.

Il Moma di New York le dedica una retrospettiva dal 26 febbraio all’11 giugno con 200 immagini del suo percorso artistico, dopo essere stata una delle prime istituzioni ad intuire la portata rivoluzionaria della sua fotografia. Il museo ha infatti acquistato nel 1995 la raccolta “Untitled Film Stills”, circa 70 fotografie in bianco e nero in cui l’artista americana impersonava attrici immaginarie di metà secolo. Acquisite dal Moma per circa un milione di dollari – notizia che fece scalpore – oggi le opere dell’artista originaria del New Jersey vengono battute all’asta a cifre ancora più alte.

Attraverso i suoi primi esercizi creativi, collocabili verso la fine degli anni ’70, Sherman voleva testimoniare quanto nel passato la donna recitasse ruoli predefiniti e rigidi, nell’ambito di una società fortemente maschilista. E quale miglior metodo di denuncia se non la rappresentazione di uno stereotipo attraverso un altro stereotipo? La raccolta è in mostra in questi giorni alla Verbund Collection di Vienna, con il titolo “That’s me, that’s not me. Early works by Cindy Sherman”, fino al 16 maggio. I ’70 erano gli anni dell’università, quando, frequentando il centro espositivo Hallwalls di Buffalo, nello stato di New York,  conosceva rappresentanti dell’avanguardia artistica del tempo come Robert Longo, suo futuro fidanzato (oggi, dopo il divorzio dal regista Michael Auder, l’artista fa coppia fissa con il leader dei Talking Heads, David Byrne), Bruce Nauman, Chris Burden e Vito Acconci, venendo influenzata da artiste come Lynda Benglis, Eleonor Antin e Hannah Wilke.

Dai primi anni ‘80, la Sherman scopre il colore e la tecnologia come nuovi strumenti della sua ricerca artistica e inizia ad utilizzare travestimenti e oggetti insoliti per proiettare sulla pellicola la “sua” contemporaneità, filtrata attraverso uno sguardo disincantato, dissacrante e provocatorio. Ed è così che protesi mediche, manichini e bambole invadono la scena, dando vita ad immagini intenzionalmente forti, spesso sgradevoli, “pronte ad esplodere o crollare per la pressione interna”, come ha scritto di recente Jerry Saltz sul New York Times. Immagini che potremmo definire di denuncia: del consumismo, del culto dell’immagine e dell’eterna giovinezza, messi in discussione dall’artista attraverso una continua opera di deformazione, del suo corpo in primis.

Considerata da molti la regina del postmodernismo, Cindy Sherman ha mescolato mondi diversi e ruoli diversi, la fotografia, l’arte, la finzione, la moda; davanti e dietro all’obiettivo è stata regista, artista, modella, truccatrice, bambola e inquisitore, corteggiata da riviste come Vogue e Harper’s Bazaar, scelta da griffe come Balenciaga e Comme des Garçons per servizi di copertina, performance e mostre. Nel 2006 è stata l’autrice della campagna pubblicitaria di Marc Jacobs e nel 2011 ha ideato una linea cosmetica in edizione limitata per MAC.

Al di sopra di ogni categorizzazione e distante dalla morale comune, Cindy Sherman ha inventato un genere e, riprendendo le celebri parole di Cecil Beaton, è riuscita a fare di se stessa un’opera d’arte: “making oneself a work of art is that most difficult of all causes”. 

Vuoi ricevere Mam-e direttamente nella tua casella di posta? Iscriviti alla Newsletter, ti manderemo un’email a settimana con il meglio del nostro Magazine.

CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ!