Cinema

Jafar Panahi, il regista pluripremiato a cui è stata tolta la libertà, e il suo film

Perché dedicare attenzione a Jafar Panahi? Perché è un regista talentuoso, originale e mai scontato, e perché è vittima di un odioso sopruso che nel 2015 stentiamo a ritenere possibile. A Panahi infatti è stata tolta la possibilità di spostarsi, di viaggiare, quindi di lavorare, e di vivere il libertà. Nel suo paese, l’Iran, Panahi è stato condannato a non poter più girare film fino al 2030, oltre che a 6 anni di carcere. Domani, giovedì 27 agosto, arriva nelle sale italiane il film con cui ha vinto l’Orso d’oro a Berlino, “Taxi Teheran”: per girarlo Panahi ha girato per la sua città, Teheran, su un taxi per l’appunto, incontrando così le persone più disparate, e comunicando con loro, parlando della libertà a Teheran, della società iraniana. E guadagnandosi per questo una condanna per propaganda anti-islamica. Alla Berlinale dell’anno scorso Isabella Rossellini ha letto un appello in suo favore, firmato da tanti nomi del cinema, Bertolucci in primis. Vi riportiamo il testo della toccante lettera che ha mandato alla giuria del Festival di Berlino l’anno scorso, non potendo ritirare di persona il premio aggiudicatosi: “Sono un cineasta. Non posso fare altro che realizzare dei film. Il cinema è il mio modo di esprimermi ed è ciò che dà un senso alla mia vita. Niente può impedirmi di fare film e quando mi ritrovo con le spalle al muro, malgrado tutte le costrizioni, l’esigenza di creare si manifesta in modo ancora più pressante. Il cinema in quanto arte è la cosa che più mi interessa. Per questo motivo devo continuare a filmare, a prescindere dalle circostanze, per rispettare quello in cui credo e per sentirmi vivo”. A proposito di “Taxi Teheran” ha detto: “Dopo “This is not a film” e “Closed Curtain”, sentivo di aver bisogno di far uscire a tutti i costi la mia videocamera dal confinamento delle mura di casa”, racconta Panahi  –  Aprivo le finestre, guardavo la città e cercavo un’alternativa. Se avessi posizionato la mia videocamera in una qualunque strada avrei messo in pericolo la troupe”. Il regista ha iniziato a guardare il cielo, e a fotografarlo, per un anno interno. Ma nessun laboratorio fotografico in città voleva aiutarlo nel lavoro di sviluppo e ingrandimento. “Un giorno, sconfortato, ho perso un taxi per tornare a casa. Due passeggeri discutevano a voce alta mentre io riflettevo su cosa altro avrei potuto fare. Niente più film, né foto. Forse non mi restava altro che diventare un tassista e ascoltare le storie dei passeggeri. Ed ecco scoccare la scintilla”. Ha iniziato, giorno dopo giorno, a fare corse in taxi ascoltando i racconti dei passeggeri. Alcuni mi riconoscevano, altri no. Mi parlano delle loro difficoltà, dei loro problemi quotidiani. A un certo punto ho preso il cellulare e iniziato a filmare. Ma la cosa non funzionava. Così ho deciso di realizzare una docu-fiction di cui ho scritto la sceneggiatura e nascosto una videocamera Black Magic in macchina per non attirare l’attenzione”. Il primo ciak il 27 settembre 2014, le riprese durate quindici giorni. Gli attori sono tutti non professionisti, conoscenti o conoscenti dei conoscenti. La piccola Hana, l’avvocatessa Nasrin e Omid, il venditore di Dvd, interpretano se tessi nella vita. Lo studente cinefilo è mio nipote. La maestra è la moglie di un mio amico, il ladro l’amico di un mio amico e il ferito uno che viene dalla provincia”. Un film da vedere, una causa da sostenere. 

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