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Lost in Fashion: Da Milano a Stromboli, passando per la Polinesia

Cercando lo scrittoio perfetto è nato un romanzo

Lo scrittoio è stata una mia fissazione per mesi. Per scrivere volevo il tavolino ideale. Un certo legno sbiancato. Una forma rétro. Un sapore di vissuto che stimolasse l’immaginazione. Lo avevo bene in mente. Lo cercavo dai rigattieri, nei negozi shabby chic, nei mercatini e nei mercatoni. Niente.
"Non puoi scrivere sul tavolo del soggiorno?", mi chiedeva T.
"No, lì ci mangio, ci lavoro, ci abbandono bollette e appunti pieni di briciole. Voglio una postazione più nobile".
Così è partita la caccia allo scrittoio perfetto. A ottobre arrivò un tavolinetto dell’Ikea con tanto di porta stampante.

Lo montai una domenica in camera da letto. Stavo lì e scrivevo incastrata tra il letto e la parete. Sulla mensola avevo attaccato un manifesto con regole di scrittura autoimposte:
1. ridere, ridere, ridere.
2.Iperbole, paradosso, ridicolo.

Forse per sfuggirle, lo disertavo appena possibile e mi accoccolavo su una sedia intorno al tavolo del soggiorno. A Natale però arrivò in dono lo scrittoio dei sogni: color crema, piccolo, delabré. Il tavolino ideale, subito soprannominato "il perfetto". Lo avevo adocchiato in un negozio dell’usato. Lo piazzai in un angolo vicino alla finestra. Era bellissimo e ci scrissi col trasporto delle infatuazioni per un intero weekend. Ma aveva qualcosa anche quello. Era troppo basso, non potevo incrociare le gambe sotto il piano e così sedevo tesa e nervosa, cercando ogni scusa per alzarmi, senza concentrarmi mai.
"Ancora non sei contenta, mi è costato un patrimonio…", si lamentava T.
In Polinesia, incontrai in una palafitta sull’acqua, un angolo da scrittura ideale. Gli scuri che si aprivano sull’Oceano, il fresco (e qualche geco) che circolavano liberi come le idee in testa, tutto intorno il mare. Ma ero lì per lavorare e scrissi poco o nulla.
"Dovrei ordinare una palafitta e farla impiantare sul balcone a Milano" dissi a T. tornando dal Pacifico.
"Io il tavolino che volevi te l’ho preso. Adesso se non scrivi, è colpa tua".

Non senza grugnire, scrivevo in transumanza tra "il perfetto" e il tavolo del soggiorno, che poi si è rivelato, il più fedele, il più capiente, il più fidato, il più longevo dei compagni di scrittura. Ha ospitato tre revisioni e l’ansia del giorno della consegna. Le ore passate a vuoto senza scrivere neppure una riga. Quelle di esaltazione per aver trovato una soluzione imprevista a un dubbio di settimane. Il tutto circondata da bicchieri di succo di pompelmo, specchi, comunicati stampa, multe e il logorio della vita moderna.

Solo vicino alla fine, spinta dal freddo ai piedi, ho scoperto i piaceri del letto. Mi sono messa a scrivere stesa sotto il piumone. Il computer caldo sulle ginocchia. L’affondo nei cuscini. La massima libertà. Ci ho scritto quasi tutto il cap 9, che è uno dei miei favoriti. Se non fosse stato per il mal di schiena, sarei rimasta lì. Invece, zitta zitta, mi sono trascinata con le mie bozze fino al soggiorno. Mi sono seduta, ho acceso il computer.

"Lo so, lo so" ho detto a T. che mi ha guardato scuotendo la testa.
Poi mi sono messa a scrivere e non mi sono più mossa fino alla fine.

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