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Springsteen: la verità nella Promessa

Un tuffo nella genesi dei nuovi inediti

ORECCHIO CRITICO # 7

Bruce, hai detto una bugia. Non ce la beviamo che Save My Love sia l’unico pezzo di queste care, agognate Darkness On The Edge of Town outtakes ad esser stato inciso di recente, lontano dalle tribolate sessions ’76-‘78. La tua voce la conosciamo bene, Bruce. Conosciamo i tuoi cambiamenti.

Gotta Get That Feeling, Spanish Eyes, It’s a Shame, The Little Things cercano sì di riacciuffare quel canto malinconico, impreciso e rabbioso del periodo ma non provengono da lì. Si sente boss, che quella gola sa di anni 90 (volevi ficcar tutto in Tracks del ’98, vero?) o pure più avanti. Viene fuori anche nel romantico finale di The Brokenhearted, dove gli alti registri sono gestiti con un colore e un mestiere non tuoi a 27-28 anni.

Ma ti perdoniamo, Bruce. Un tuffo in questi inediti (meglio dire rarità) vuol comunque dire recuperare quei tasselli mancanti al panorama mentale che abbiamo della tua carriera. È come entrare nella stanza in cui scrivevi (aiutati anche dal docu-film di Thom Zimny, dagli appunti autografi e dalle clip del maestoso box-set), nei tuoi ragionamenti, e scoprire sorpresi per quanto tempo hai custodito certe idee. Ora tutto è più chiaro, tutto torna. Anche tu hai mescolato le carte nell’avanzare. Comprensibile. Nel ’92 meno ispirato di Human Touch-Lucky Town, ecco che hai ripreso il tema portante di Candy’s Boy appiccicandolo pari pari a Book of Dreams; l’incipit di I Wish I Were Blind, stessa cosa, era in Spanish Eyes. Il power-pop di Magic o Working on a Dream, poi, si comprende non essere un tuo vezzo recente, ce l’avevi lì da decenni: Someday (We’ll Be Together).

Scrutando sul tuo tavolo, affiancando la sedia alla tua, fa specie appurare quanto scrupolo avessi a fine anni 70 nel cercare in modo maniacale la forma più giusta per ogni brano. Smania di presentarti ai fan senza errori dopo Born to Run, a maggior ragione dopo gli anni di sosta forzata (le beghe legali col primo manager Mike Apple). Perciò, paradosso, l’impeto della Candy’s Room che percuoteva il lato A di Darkness nasce in realtà dal testo della quieta Candy’s Boy, It’s a Shame risulta il primo vagito stonesiano di Prove It All Night e la scarna Factory era stata provata con degli ingredienti aggiuntivi (Come On).

Più che gli albori della title-track o della Because the Night donata all’altra Patti della tua vita (meglio le versioni a venire), grazie soprattutto per le curiose diagonali dell’E-Street Band (Talk to Me), per la chiusura affidata al bozzetto nascosto The Way e per averci riportato dalle parti di Iceman (altro "escluso" di Darkness già edito su Tracks) con Breakeaway, il più bel "colpo al cuore" di The Promise: fosco affresco di un’epopea della strada perduta nel bianco e nero e negli anni che ci mostri in copertina. Alla fine, vuoi o non vuoi la vinci sempre. Come si fa a non volerti bene, Boss?

di Simone Vaga

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