cinema: the square palma d'oro le ragioni di una vittoria inattesa
Spettacolo,  Cinema

The square palma d’oro: le ragioni di una vittoria inattesa 2017

Pochi, tra i non addetti ai lavori, possono dire di conoscere Ruben Östlund e i suoi film. Il regista svedese è solo al terzo lungometraggio, dopo Play (2011) e Forza maggiore (2014), film che somigliano alla nuova Palma d’Oro, The Square. 

Il film dello svedese Ruben Östlund ha conquistato il premio più ambito. Con ‘The Square’ vince il film più corrosivo del festival

Sopratutto il secondo, che racconta la storia di una valanga che travolge un sito turistico, alla quale sfugge miracolosamente una famiglia i cui equilibri saranno però, successivamente, stravolti a causa della rivelazione dell’egoismo del padre, che ha preferito salvare l’Iphone piuttosto che la vita dei figli. Anche nel 2014 il regista svedese partecipò da concorrente al Festival di Cannes, dove vinse il premio Un certain regard.

The Square è un lungo film, che racconta di un ambizioso direttore di una galleria d’arte che perde la testa quando il suo telefono viene rubato (ancora il cellulare come oggetto di dipendenza e alienazione, come in Forza maggiore) e dirige il suo malessere verso la stessa galleria, i curatori, gli sponsor, gli artisti e i visitatori.

Come gli altri candidati alla Palma, il film di Ostlund è un attacco sferrato alla via borghese di intendere l’arte e la vita intera: come nei film di Haneke, Ozon, Lanthimos. Con The Square vince una metafora e un’idea: quella della galleria d’arte come scena inusuale di una crisi, capace di ospitare lo stesso sbalestramento nevrotico del protagonista come performance, di ribaltare ruoli e luoghi comuni apparentemente intoccabili, come sarebbe in grado di fare un Bunuel redivivo, con fredda temerarietà.

La giuria di Almodovar ha scelto il film di Ostlund perché probabilmente rappresentava un giusto compromesso, un’ottima seconda scelta dietro i troppo impegnativi Loveless di Zvyagintsev  e 120 Battements par minute del francese Campillo, film forse troppo ‘europei’ nel gusto, considerata la composizione del gruppo dei votanti, la più ‘americanofila’ degli ultimi anni, composta tra gli altri da Will Smith e dai premi Oscar Almodovar e Sorrentino.

Il trait d’union che unisce i film in gara è stata la visione radicalmente pessimista dei registi (oltre al film di Ostlund abbiamo avuto Sophia Coppola che ci racconta massacri, Haneke di stragi umanitarie e di indifferenza umana, Lanthimos con il solito teatro della crudeltà in forma cinema, Ozon e la parodia funesta della famiglia). Vince, fa scena e spettacolo la messa alla berlina della vanità borghese, delle via media. Peccato non puntare su chi ha cercato di raccontare altre cose con tutt’altro stile (Zvyagintsev), peccato non aver osato veramente. 

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