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U2, la doppietta di San Siro

La band di Dublino portata in trionfo da 140mila spettatori. E sabato 23 un’altro tutto esaurito all’Olimpico di Roma. Ecco il nostro resoconto dell’evento rock dell’anno Due tutti esauriti a San Siro. Centoquarantamila spettatori in totale per portare nuovamente in trionfo la band più amata degli ultimi vent’anni. Gli U2 sono tornati in Italia e hanno dato un segnale forte e chiaro: i re del rock sono ancora loro. Nonostante un ultimo album così così. Nonostante il loro ultimo disco davvero convincente, Achtung Baby, risalga a quattordici anni orsono. Il loro Vertigo Tour, che sabato 23 farà tappa all’ Olimpico di Roma, è una corsa fra i classici di una carriera irripetibile, a bordo di una macchina perfetta. Bono tiene in pugno il pubblico, meno istrione del solito, meno generoso negli slanci vocali ma ancora frontman perfetto per un gruppo di rock da stadio, The Edge fa sferragliare la sua chitarra come ai tempi di War, Adam Clayton e Larry Mullen Jr. giocano a memoria, tenendo d’occhio le mosse del cantante e assecondando la ritrovata vena rockettara del chitarrista. Si parte senza luci sul palco, quando il cielo non è ancora scuro. La canzone che dà il titolo al tour non si riesce quasi a sentirla. A mancare all’appello è soprattutto la voce di Bono: dal prato non si sente proprio. Forse perché cantano in settantamila e lui è uno solo, anche se microfonato. Anche se il suo nome è Paul Hewson, uno dei tre scavezzacolli di Dublino che rispose all’annuncio affisso da Larry Mullen (non ancora Jr.) nella bacheca della scuola che frequentava sognando di diventare il batterista di una band. Durante la serata non è che l’acustica migliori molto, unico neo (anche se non da poco) di uno show altrimenti perfetto. I Will Follow e The Electric Co. sono taglienti al punto giusto, e i più puristi tra i fan possono sognare di essere tornati indietro di oltre vent’anni, prima dei televisori della Zoo Tv, dei limoni giganti e dei carrelli del Pop Mart. Ma dura poco: si torna al nuovo millennio con Beautiful Day, in coda alla quale Bono accenna Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, il classico dei Beatles eseguito al Live8 assieme a Paul McCartney e divenuto un bestseller della Rete. I classici, dicevamo. New Year’s Day, con The Edge a sdoppiarsi tra chitarra e tastiere, Sunday Bloody Sunday, I Still Haven’t Found What I’m Looking For, Where The Streets Have No Name, Bullet The Blue Sky, Pride (In The Name Of Love) e, nei bis, Zoo Station, The Fly e With Or Without You. Arriva persino un’orchestra d’archi, per accompagnare gli U2 in Original Of The Species, dedicata all’ultima figlia di The Edge, nata dall’unione con Morleigh Steinberg, la danzatrice del ventre dello Zoo Tv Tour. Inutile dire che i fortunati presenti allo stadio, quelli che hanno superato gli ostacoli di una prevendita gestita in maniera assai poco professionale, (e al cancello 47 di S.Siro abbiamo assistito a cenni d’intesa quantomeno sospetti fra alcuni bagarini e un addetto all’entrata) sono in visibilio. Fin qui la musica. Ma non sarebbe un concerto degli U2 senza i messaggi di Bono. Che indossa una bandana con la scritta «Coexist», dove la C è una mezzaluna (l’Islam), la X una stella di Davide (l’Ebraismo) e la T una croce (il Cristianesimo). Che nel giorno in cui le bombe sono tornate a fare paura si fa passare dalle prime file una maglietta con il simbolo della metropolitana di Londra e la mette sopra la sua, come a dire «siamo tutti londinesi». Che invita «questa generazione» a fermare il dramma dell’Africa e che appende al microfono il rosario regalatogli dal Papa in cambio dei suoi occhialoni da rockstar. Capolavori come The Unforgettable Fire e The Joshua Tree probabilmente non torneranno mai più, Bono sarà ormai più un comunicatore globale che un cantante rock in servizio permanente, ma su un palco montato in uno stadio gli U2 hanno ancora pochi rivali.

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