Arte

UNA STORIA D’AMORE, PERFORMANCE E FOTOGRAFIA

È scontato, un obiettivo puntato su di noi ci costringe ad assumere un nuovo atteggiamento. È una verità, forse fra le più scontate: da bambini si sorride, lo si prede come un gioco; da adulti, spesso, ci si irrigidisce. La posa costringe a cambiare atteggiamento. Una soluzione? Non esiste. Da che la fotografia ha avuto modo di esistere, fa parte della vita. Memorizza, è memoria, racconta.

Spesso (o sempre) al servizio dell’arte, con oltre cinquecento immagini che coprono cento cinquanta anni di storia, in un percorso in continua evoluzione, lo si racconta alla Tate Modern di Londra nella mostra Performing for the Camera. Si parte con uno degli scatti più famosi di sempre, Yves Klein, più conosciuto per le sue opere dipinte di blue, in Saut dans le vide salta giù da un muro, con le braccia tese al pavimento. Il suo è il “volo lunare”, un attacco alla NASA, contro le spedizioni oltre la terra. Era 1960, l’età d’oro della performance art, Yayoi Kusama, Marta Minujín e Niki de Saint Phalle si esibivano in gallerie e per le strade, al loro servizio la fotografia come testimonianza di un evento vissuto.

Altri scattavano, mentre loro si esibivano. Claude Cahun, Man Ray e Cindy Sherman, invece, si appropriano del mezzo per creare opere d’arte ai fini di costruirsi un’identità. Qui, d’obbligo la posa, come nei progetti più recenti di Samuel Fosse, in African Spirits l’artista si fotografa indossando i panni di Martin Luther king Jr e Miles Davis. Reinterpreta dei personaggi esistenti. Al contrario di Amalia Ulman, artista argentina, che ne inventa uno fittizio. Lei, su instagram ha più di 94.000 follower (anche se sostiene che non siano tutti veri). Prima i video, in cui girava semi nuda per casa, per poi documentare con dei selfi le trasformazioni chirurgiche a cui si sottoponeva. In realtà una messa in scena, una performance artistica che risponde al nome di Excellences & Perfection. Una trasformazione, da brava ragazza a diavolo fino alla redenzione, per un unico scopo quello di massacrare i media e gli stereotipi diffusi dal quale è meglio stare alla larga. Tutto questo, attraverso la fotografia strettamente legata alla performance, non solo nell’arte, ma nella vita. Anche la nostra.

 

Performing for the Camera
Fino al 12 giugno
Tate Modern, The Eyal Ofer Galleries, Londra

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