Al Carcano la tragedia greca sconvolge
Dal 14 al 19 febbraio il Teatro Carcano di Milano porta in scena la tragedia greca e propone un’attualissima interpretazione delle Supplici di Euripide, affidata alla regia di Serena Sinigaglia e prodotta da ATIR, con il sostegno di NEXT, progetto a sostegno del mondo dello spettacolo promosso da Regione Lombardia e Fondazione Cariplo. La regista voleva affrontare da anni questa tragedia, difficile da portare in scena per una verbosità riconosciuta anche in antico; ha iniziato a lavorarci, soprattutto in chiave politica, e quando la guerra in Ucraina ha fatto irruzione con prepotenza nelle nostre vite ha deciso di dare risonanza anche a un altro punto focale del testo.
Il dialogo di competenze
Sulla base dell’idea di regia, Maddalena Giovannelli e Nicola Fogazzi hanno tradotto il testo euripideo, adattandolo quanto più possibile all’intento comunicativo della regista e scegliendo, fra i tanti sinonimi che possono tradurre ogni termine greco, quello che potesse avere una risonanza maggiore nel pubblico.
Si suol dire che tradurre è sempre un po’ tradire: la mancanza di una perfetta equivalenza fra culture differenti è un problema con cui deve fare i conti chiunque accompagni un testo in un mondo diverso da quello di partenza; in questo caso ci si è sentiti un po’ più liberi di tradire, dal momento che un testo teatrale viene scritto e calibrato per il proprio pubblico. Quello che sorprende è quanto piccolo sia stato il tradimento, quanto dica ancora, a distanza di millenni, un testo del 423 a.C.
La riflessione registica ha poi ampliato il nucleo di partenza, attingendo a vari ambiti culturali: si percepiscono quindi la critica alla democrazia di Platone, la descrizione del principato di Machiavelli, lo stile oratorio dei politici a noi contemporanei e l’eco di proteste avvenute nella storia. Il tutto portato in scena da sette attrici dalla bravura magistrale.
Al nucleo ideativo descritto si aggiunge una scenografia suggestiva, che fa dell’elemento materico la sua cifra distintiva. Dal momento che lo spettacolo si apre con una libagione mancata, Maria Spazzi ha immaginato un ambiente fortemente terrestre, totalmente privo di acqua. Al centro, ad accompagnare gli spettatori dall’inizio alla fine, c’è un solo elemento scenico, che, a seconda delle circostanze, diventa sfondo, altare, rifugio, pulpito: è una zolla millenaria, inaridita dall’incuria, incapace di evolvere, incapace di digerire i resti umani che suo malgrado trattiene, muta vittima geologica a custodia delle mute vittime umane.
Quello che ne deriva è un’interpretazione sapiente del testo euripideo, che sa armonizzare l’incontro fra passato e presente, che sa strappare qualche sporadico sorriso nel pubblico pur rimanendo inevitabilmente tragico, che sa far vivere appieno, in ogni scelta, il messaggio che vuole trasmettere.
La tragedia greca in scena: trama delle Supplici di Euripide
La tragedia greca soleva presentare al pubblico solo attori maschi, che interpretavano anche i ruoli femminili. Qui, all’opposto, entrano in scena solamente attrici: sono loro che raccontano il dolore atavico ingenerato dai conflitti, sono loro a interpretare anche i ruoli maschili, perché sono loro che rimangono dopo la guerra.
Le supplici sono le madri di 7 eroi morti nella battaglia fra Argo e Tebe. Loro, insieme ad Adrasto, chiedono aiuto a Teseo, re di Atene, per recuperare i corpi dei loro figli e donare loro una sepoltura degna delle consuetudini greche.
E Teseo, tragicomico interprete di una democrazia populista e senza più energia, i cui discorsi riecheggiavano quelli coevi a Euripide e riecheggiano oggi, dopo la traduzione, quelli coevi a noi, accetta di fornire loro aiuto, salvo poi essere diffidato dall’ambasciatore di Creonte, nuovo re di Tebe. Si instaura allora un dialogo serrato fra i due, che ricorda altri passi della letteratura greca. In questo, che è stato il nucleo di riflessione da cui è partita Serena Sinigaglia, si contrappongono democrazia e dittatura, «mancanza di competenze» e «mancanza di libertà», «avvicendamento indiscriminato al potere» e «potere assoluto sui sudditi».
Il confronto si risolve in un nulla di fatto e Teseo, che aveva criticato Adrasto per aver causato una guerra intromettendosi in questioni che non riguardavano la sua città, non sa fare altro che esercitare la medesima ingerenza, causando un’altra guerra. La giustificazione? Quella sarebbe stata l’ultima, e avrebbe messo fine alla serie insensata di violenze: questo avveniva nel V secolo a.C.
La riflessione su quest’altro grande tema, la guerra, è affidata alle donne. Se la moglie di Capaneo, uno dei sette eroi deceduti, sceglie di gettarsi sulla pira funebre insieme al marito, perché «in questo mondo non c’è posto per i giovani», è il coro di supplici a commentare con strazio le imprese belliche: quando gli stati potrebbero risolvere con la diplomazia, scelgono la guerra; quando gli uomini potrebbero cedere, scelgono di vincere; quando si tenta di risolvere il dramma di molte morti, si sparge altro sangue.
L’uomo sembra incapace di rifuggire la guerra: «l’uomo è il veleno del mondo», non causa altro che distruzione. Ma c’è una soluzione – dicono le supplici -: vince solo chi sa perdere. É chi si dimostra capace di perdere che vince sul mostro che era quando non accettava altro che la vittoria.
Un sogno tanto grande, che trova eco altrove nella cultura, dal trattato di Sun Tzu L’arte della guerra all’ultimo discorso di Roberto Benigni sul palco del Festival di Sanremo 2023, si infrange poche scene dopo: i figli degli eroi deceduti promettono ai padri vendetta. Promettono loro una nuova guerra, promettono che ci saranno di nuovo degli eroi: perché gli eroi sono quelli che vincono.
Donne che piangono in eterno, donne che soffrono di un dolore senza termine, le donne che rimangono: queste sono le supplici e su di loro si chiude, circolarmente, il sipario. Resta un testo che arriva da lontano, che attraversa i secoli e se ne arricchisce, eppure che suona ancora così contemporaneo. Una vicenda che si vorrebbe straniante e che tuttavia è ancora così usuale per le nostre coscienze. Il grande afflusso di pubblico e lo scrosciante applauso finale dimostrano che, nonostante sarebbe lecito sperare il contrario, è un testo di cui abbiamo ancora bisogno.
Editor: Leonardo Santarelli
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