Arte

Henri Cartier-Bresson: all’Ara Pacis una mostra celebra il poliedrico artista

A dieci anni dalla sua morte, Roma celebra Henri Cartier-Bresson con una grande mostra all’Ara Pacis.

L’esposizione intende ripercorrere la carriera artistica del fotografo dalla giovinezza fino agli ultimi anni di attività dimostrando “che non c’è stato un solo Cartier-Bresson, ma diversi”; dai primi lavori esposti capiamo già di trovarci di fronte ad un artista poliedrico, si tratta infatti di disegni e di opere pittoriche, come lo stesso Cartier-Bresson ammette “Ho sempre avuto la passione per la pittura. Da bambino, la facevo il giovedì e la domenica, ma la sognavo tutti gli altri giorni”.

Proseguendo lo spettatore potrà ammirare le fotografie degli anni di apprendistato i cui protagonisti sono manichini in vetrina, cumuli di scarpe e vecchie insegne di negozi ma il desiderio di diventare fotografo nascerà al ritorno da un viaggio in Costa d’Avorio, nel 1930, grazie ad una foto di Martin Munkacsi  “è stata quella foto a dar fuoco alle polveri, a farmi venir voglia di guardare la realtà attraverso l’obiettivo”.

L’artista “troppo timido e troppo giovane per prendere la parola” assisteva “in fondo al tavolo” a qualche riunione con Andrè Breton; tali frequentazioni lo porteranno a sviluppare un certo gusto per lo stile Surrealista di cui sono testimonianza le immagini degli oggetti impacchettati, avvolti e fasciati in modo che lo spettatore si chieda di continuo cosa si trovi dietro di essi, dei corpi deformati e distorti come l’Autoritratto deformato o il Ritratto dell’amico in cui l’artista disegna un occhio sul collo e una narice sul mento in modo che il viso  possa essere guardato in un verso o nell’altro e infine le foto dei personaggi con le palpebre abbassate, in cui uomini e donne dormienti e sognanti riposano accanto ad oggetti di vario genere che rappresentano le loro proiezioni mentali, numerose sono poi le foto dei personaggi colti in movimento tra cui possiamo ammirare Derriere la Gare Saint Lazare.

Dopo aver realizzato immagini dominate da atmosfere magiche e surreali l’artista cambia decisamente tono usando magistralmente l’apparecchio fotografico come strumento a servizio degli sfruttati contro gli sfruttatori; da adesso in poi i protagonisti delle sue opere saranno i diseredati,  persone che chiedono l’elemosina o dormono per strada.

Il suo impegno politico lo porterà a diventare il fotoreporter di gran parte degli eventi storici del ‘900; gli scatti della Guerra Civile Spagnola, della Seconda Guerra Mondiale, della Guerra Fredda e della decolonizzazione, molti dei quali esposti in mostra, gli varranno il nomignolo di “Occhio del secolo”.

Un’altra sezione della mostra è quella dedicata al lavoro, l’artista non vuole né denunciarlo né glorificarlo ma ad interessarlo è piuttosto il rapporto fisico che si istaura tra l’uomo e la macchina.

Alla fine degli anni ’50  Cartier-Bresson rappresenta la società dei consumi; il fotografo intende dimostrare come la bramosia di una donna di comprare un cappellino nei grandi magazzini sia uguale nelle città europee così come in quelle americane, la concupiscenza non ha frontiere.

Negli anni ’70, l’artista, pur avendo ufficialmente smesso di fotografare tiene la sua Leica a portata di mano realizzando di tanto in tanto immagini più contemplative, fino a tornare, nel 1972, alla sua passione infantile: il disegno.

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