Jia Zhangke
Interviste

Intervista a Jia Zhangke 2014

Incontro con il regista di Platform Jia Zhangke

Abbiamo incontrato Jia Zhangke, regista di Platform , subito dopo la proiezione alla Mostra del Cinema di Venezia 2000

Ci può parlare delle componenti autobiografiche di Platform?
Il film racconta la mutazione della società cinese dal 1979 al 1990. La Rivoluzione Culturale finisce nel 1976, ma in realtà i suoi effetti cominciano ad avvertirsi solo tre anni dopo. Sono stati 10 anni fondamentali e insospettabili della storia del nostro Paese.

E per me erano anche gli anni del passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Nel film faccio quindi riferimento alla mia esperienza personale e alla comprensione della società cinese che avevo in quel momento.

C’è comunque un’elaborazione a posteriori: il progetto iniziale risale al 1994 e le diverse versioni della sceneggiatura testimoniano tutti questi passaggi. Comunque nella cultura cinese c’è la tendenza a connettere la vita privata con le vicende storiche, politiche e sociali e in questo caso mi sento molto coinvolto nella storia che ho deciso di raccontare.

In che relazione stanno il suo film precedente, Pickpocket, e quest’ultimo?
La Cina di Pickpocket è quella precedente a Platform. Quest’ultimo film comincia dove terminava l’altro, sia dal punto di vista contenutistico sia da quello formale: anche il modo con cui ho girato segue un’evoluzione. Ho scelto di utilizzare lo stesso attore perché nessuno possiede la sua naturalezza e spontaneità.

E gli altri attori e comparse?
Sono quasi tutti amici d’infanzia che sono passati attraverso la mia stessa esperienza. In quegli anni per noi iniziava un modo di vivere diverso: cominciavamo a divertirci, ascoltavamo musica leggera…

Solo negli anni ’80 la nostra società si è aperta all’esterno e sono iniziate una serie di trasformazioni culturali e politiche che dovevano portare la società cinese verso la modernità. Si è trattato di uno sviluppo molto rapido. Ma nel film mi interessava soffermarmi maggiormente sulla maturazione individuale.

Nel film c’è un continuo gioco tra pieni e vuoti, paesaggio e personaggi.
Insieme al lavoro sulla durata, questa alternanza mi è stata utile per creare una distanza tra me e i personaggi, per evitare il coinvolgimento soggettivo.

Avete avuto problemi con le autorità cinesi?
Circa due anni fa, non appena terminata la post-produzione di Pickpocket, mi sono messo subito al lavoro sul questo progetto. Abbiamo fatto ogni sforzo possibile per superare la censura, ma senza alcun risultato. In Cina esistono poco più di 10 studi di produzione autorizzati a distribuire film sul territorio nazionale: li abbiamo contattati tutti, ma nessuno di loro era disponibile a fare da prestanome.

Così siamo passati all’altra sponda, quella dei film indipendenti che non hanno distribuzione in sala. E grazie anche ad alcuni apporti finanziari internazionali siamo riusciti a fare il film.

(a cura di giorgia brianzoli)

Vuoi ricevere Mam-e direttamente nella tua casella di posta? Iscriviti alla Newsletter, ti manderemo un’email a settimana con il meglio del nostro Magazine.

CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ!