Long live Mcqueen: 12 anni dalla morte del genio della moda 11 febbraio 2010
12 anni dalla morte di Alexander Lee Mcqueen, il sublime stilista della Savage Beauty
“Genio”, pochi sono coloro così unanimemente acclamati. Tra questa minuscola percentuale, Lee Mcqueen si è guadagnato l’appellativo a pieni voti. Uno stilista ossimorico: un lato oscuro, cupo, irrequieto che l’ha portato alla distruzione.
Ma nell’ombra nasce sempre la luce. Mcqueen ha portato con sé, fino alla sua morte, una nuova visione della moda, anticipando tendenze e oltrepassando i confini. Creare era la sua salvezza. E in fondo, anche la nostra, perché nessuno più dello stilista scozzese ci ha fatto commuovere, emozionare e apprezzare la bellezza selvaggia dietro la moda.
Gli inizi nel mondo della moda
Lee Alexander McQueen nasce a Londra il 17 marzo 1969 da una modesta famiglia, appartenente al ceto operaio. Sesto e ultimo figlio di un tassista del quartiere popolare dell’East London, abbandona gli studi a 16 anni per buttarsi nel mondo del lavoro.
L’atelier di Anderson &Sheppard di Savile Row gli dà la possibilità di apprendere i segreti dell’alta sartoria maschile, per poi proseguire la propria formazione da Gieves & Hawks e inseguito nel laboratorio teatrale di Angels & Bermans, dove amplia le sue competenze alla confezione femminile. A soli vent’anni affianca lo stilista giapponese Koji Tatsuno per poi trasferirsi nel 1990 a Milano dove entra a far parte dell’ufficio stile di Romeo Gigli.
Nel 1992 torna nella città natale per iscriversi alla Central Saint Martins College of Art and Design. Si laurea con la collezione dal titolo “Jack the Ripper Stalks His Victims”, che comprendeva un cappotto stampato con immagini di spine e ciuffi di capelli dello steso stilista cuciti nei capi.
Questa collezione viene notata dall’icona del fashion system internazionale Isabella Blow, assistente di Anna Wintour, che decide di acquistarla per 5000 sterline. Isabella Blow è una figura fondamentale nella vita di McQueen, non solo è la sua prima sostenitrice, ma diventa anche sua musa ispiratrice e migliore amica.
Givenchy secondo Mcqueen
Nel 1996 prende il posto di John Galliano nella direzione artistica della maison Givenchy, collaborazione, che tra alti e bassi, dura fino al 2001. McQueen si sente ristretto dentro le regole dell’alta sartoria francese, ma nonostante ciò fa risuonare il proprio nome della scena dell’Haute Couture con sfilate rivoluzionarie e scioccanti, tanto da essere soprannominato l’hooligan della moda. La prima collezione per Givenchy è stata molto criticata da Karl Lagerfeld, poiché troppo forte per il prestigio della maison francese. Ma a McQueen, fino alla sua morte, piaceva provocare.
La teatralità, un classico dello stile di Mcqueen
Mentre è da Givenchy, McQueen imprime il suo nome all’interno della scena dell’alta moda attraverso sfilate trasgressive, scioccanti, ma al contempo incredibilmente spettacolari, al punto da guadagnarsi l’appellativo di “hooligan” della moda. Nelle sue creazioni si nota l’impastatura sartoriale inglese e l’esperienza vissuta all’interno del teatro, che rimane una costante in tutti i suoi capi. Egli non crea solo abiti, dà vita a dei personaggi, li cortesi e li inserisce in un ambito teatrale, il fashion show. Si nota nelle sue creazioni la precisione della struttura sartoriale britannica, le finiture impeccabili della qualità della produzione italiana e il gusto dell’alta moda francese.
Il marchio Alexander Mcqueen
Mentre è da Givenchy, McQueen imprime il suo nome all’interno della scena dell’alta moda attraverso sfilate trasgressive, scioccanti, ma al contempo incredibilmente spettacolari, al punto da guadagnarsi l’appellativo di “hooligan” della moda. Terminato l’impegno con la maison francese, fonda il marchio che porta il suo nome. Nel 2000 il gruppo Pinault-Printemps-Redoute (oggi gruppo Kering), acquista al 50% le quote del su marchio, che ha costruito parallelamente al lavoro per la maison francese. Così nel 2001 decide che è ora di dedicarsi al suo brand, allestisce un ufficio stile nell’amata Londra. Isabella Blow è sempre al suo fianco, insieme a Philip Treacy, famoso designer inglese di cappelli. Inizia il periodo più felice e produttivo dello stilista. Le collezioni annoverano una linea di prêt-à-porter donna e una da uomo, una linea di occhiali, una di accessori e un’altra di profumi.
Le sfilate indimenticabili e la morte di Mcqueen
Irriverente e rivoluzionario, McQueen propose delle sfilate uniche che destarono non poco scalpore. Tra queste: “Taxi Driver”, un omaggio a Travis Bickle, il tormentato protagonista del film di Scorsese e “Highland Rape”, una denuncia degli abusi subiti dalla Scozia a opera dell’Inghilterra.
Inoltre, in occasione della sfilata “The Hunger” lo stilista aveva presentato bustier trasparenti ricolmi di vermi. Per “Dante”, nel 1996, uno scheletro sedeva in front row, mentre per la sfilata del 1997 “It’s a Jungle Out There” un’automobile aveva preso fuoco. Tra le sfilate e le collezioni indimenticabili dell’epoca, quella del 1999 dal titolo “N.13” in cui l’atleta Aimee Mullins, amputata delle gambe, solca la passerella su protesi in legno mentre dei robot spruzzano vernice per automobili su un abito bianco sfoggiato dalla super top Shalom Harlow.
Tra bustier, elementi dark, motivi tartan e fantasie gotiche, Alexander McQueen ha rafforzato la sua creatività con una sapiente tecnica del taglio e della costruzione nella modellistica, solcando la strada per nuovi esperimenti sartoriali. Le sfilate di McQueen, come tutta la sua filosofia, oscillano tra gli incubi da teatro elisabettiano e un futuro immaginario ma comunque poco roseo, ma con un velo di romanticismo sempre presente.
L’ultima sfilata dello stilista è Plato’s Atlantis. In quell’occasione lo stilista fa sfilare donne che sembrano alieni, metà umani metà animali, con le famose scarpe Armadillo ancora oggi cercatissime.
Di Michele Micera
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