Archivio

Trionfo, un regista scomodo

Un intellettuale finissimo, un maestro per tanti attori, un dandy, un fine cesellatore di caratteri e personaggi: in un libro il ritratto del grande Aldo «Dado» Trionfo Un regista eccentrico e scomodo. Un regista «di passaggio», fondamentale trait d’union fra la generazione dei grandi signori della scena come Luchino Visconti (del quale fu aiuto regista ai tempi di Senso) e Giorgio Strehler e i maestri di oggi come Luca Ronconi. Un maestro pure lui, che non ha mai voluto esserlo e che pure lo è stato per una serie infinita di attori che, grazie al suo insegnamento, hanno incontrato il teatro al tempo della sua direzione dell’Accademia d’arte drammatica o hanno avuto la loro prima chance in qualche suo spettacolo e per una serie di registi famosi e meno famosi che si sino trovati la strada aperta dal suo coraggio e dalle sue intuizioni. Oggi, a tredici anni dalla sua morte, un bellissimo e importante libro, curato da Franco Quadri, Il teatro di Trionfo (Ubulibri, pagg.336, 29,50 euro), ricco di fotografie e di testimonianze, ricorda non solo l’intellettuale finissimo, non solo l’uomo elegantissimo e quasi dandy, ma anche le sue battaglie culturali, la sua formazione di ricco ragazzo ebreo della borghesia genovese alla ricerca di se stesso, le sue illuminazioni, il suo spirito d’avventura, il suo considerare il denaro come la possibilità di fare teatro in assoluta libertà fuori dai condizionamenti. Pur operando quasi sempre all’esterno (anche se per poco più di due anni fu alla direzione del Teatro stabile di Torino) delle strutture pubbliche e pur essendo per gusto lontano dai collettivi o dalle cooperative, Trionfo non fu un solitario. Fin dai tempi della sua prima avventura con la genovese Borsa di Arlecchino, vero e proprio teatro di sperimentazione, cabaret d’avanguardia, spesso accanto a compagni nei quali riconosceva la sua stessa scintilla – il grande scenografo Lele Luzzati, Tonino Conte e più tardi Giorgio Panni e Lorenzo Salveti -, amatissimo dagli attori che dirigeva da Franca Nuti a Valeria Moriconi, da Franco Branciaroli a Carmelo Bene (diverte e commuove la sua intervista nella quale parla del suo rapporto con Trionfo ai tempi di Faust-Marlowe-Burlesque, 1976) a Marisa Fabbri e dai giovani registi che si formavano vicino a lui come Cherif, Trionfo ha perseguito un teatro lontano dalle mode (che, semmai, anticipava), fra inquietudine e ironia, fra derisione e travestimento con un metodo tutto speciale nell’apparente mancanza di metodo, con l’intelligenza del divertimento. Sia che mettesse in scena Marlowe o Shakespeare , Beckett o Dostoevskij, magari riscritto per la scena da lui, sia che cercasse di coniugare la rivista (indimenticabile il recupero di Wanda Osiris nel ruolo di se stessa in Nerone è morto?) con la tragedia, Aldo «Dado» Trionfo è stato maestro di stile, fine cesellatore di caratteri e personaggi, di cui sapeva restituirci il cuore ben al di là del gusto di un’epoca con tutta la provocatoria inquietudine della sua intelligenza. (25 marzo 2002)
Nella foto, Carmelo Bene, a destra, e Aldo Trionfo durante le prove di Faust-Marlowe-Burlesque, messo in scena nel 1976 al Teatro Stabile di Torino

Vuoi ricevere Mam-e direttamente nella tua casella di posta? Iscriviti alla Newsletter, ti manderemo un’email a settimana con il meglio del nostro Magazine.

CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ!