Cinema

Gianfranco Rosi conquista l’Orso d’oro con “Fuocoammare”, un documentario da non perdere

 

“Film eccitante e originale, la giuria è stata travolta dalla compassione. Un film che mette insieme arte e politica e tante sfumature. È esattamente quel che significa arte nel modo in cui lo intende la Berlinale. Un libero racconto e immagini di verità che ci racconta quello che succede oggi. Un film urgente, visionario, necessario”: queste le parole pronunciate da Meryl Streep al momento della premiazione di Fuocoammare(Fire at Sea), il docufilm del regista Gianfranco Rosi, visibilmente e comprensibilmente commosso, durante la 66esima edizione del Festival del cinema di Berlino appena conclusasi. Rosi, classe ’64, si è fatto conoscere al grande pubblico con un altro documentario,  Sacro Gra’, premiato con un riconoscimento altrettanto prestigioso, il Leone d’Oro durante la 70esima edizione del Festival del cinema di Venezia, nel 2013.

La Berlinale mai  come quest’anno è stata fortemente impronata sul tema dell’immigrazione, e dell’integrazione.

“Il mio pensiero più profondo va a tutti coloro che non sono mai arrivati a Lampedusa, a coloro che sono morti. Dedico questo lavoro ai lampedusani che mi hanno accolto e hanno accolto le persone che arrivavano. È un popolo di pescatori e i pescatori accolgono tutto ciò che arriva dal mare. Questa è una lezione che dobbiamo imparare”. E ha continuato: “Per la prima volta l’Europa sta discutendo seriamente alcune regole da fissare, io non sono contento di ciò che stanno decidendo. Le barriere non hanno mai funzionato, specialmente quelle mentali. Spero che questo film aiuti ad abbattere queste barriere”, queste le parole del regista premiato, e noi non possiamo che associarci al suo pensiero e alla sua speranza.

Quando Fuocoammare è stato mostrato nelle prime fasi del Festival, si ha avuto subito l’impressione che fosse destinato a vincere: perché si tratta di un film sia  socialmente impegnato con un tema chiave del nostro tempo – il costo umano del flusso di migranti che tentano disperatamente di attraversare il Mediterraneo – e  perché lo caratterizza una una cifra stilistica decisamente umana.

Il colpo da maestro di Rosi è stato quello di non avvicinarsi a una tematica così delicata mostrando barconi che affondano, le urla dei migranti che li affollano, le tragiche immagini che riempiono i nostri telegiornali, e che spesso rimuoviamo perché troppo scomode e amare: no, si è concentrato sul punto di vista della gente del posto, di Lampedusa, ormai diventata il grande gateway per l’esodo. Tant’è che il protagonista scelto da Rosi è in realtà un giovane ragazzo, Samuele ossessionato dalla pesca, nato in una famiglia di pescatori,  ed è attraverso i suoi occhi che si comincia a vedere la tragedia colossale, e costante. Il lavoro di Rosi è un insieme di piccoli dettagli che si trasformano, quasi per osmosi, in uno scavo scioccante della meccanica di crisi.

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