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Interviste

Intervista a Carlo Mazzacurati, Fabrizio Bentivoglio e Antonio Albanese 2014

Incontro con Carlo Mazzacurati, Fabrizio Bentivoglio e Antonio Albanese, regista e interpreti de La lingua del santo , subito dopo la proiezione del film alla Mostra del cinema di Venezia 2000

Incontro con il regista e gli interpreti de La lingua del santo , subito dopo la proiezione del film alla Mostra del cinema di Venezia 2000

Intervista a Carlo Mazzacurati, Fabrizio Bentivoglio e Antonio Albanese 2014

Ci puoi parlare della genesi del film?

L’idea è nata da un insieme di circostanze e avvenimenti. Eravamo alla ricerca di un pretesto per raccontare una storia quando un fatto di cronaca ci ha dato il la.

Circa una decina di anni fa, nella basilica del Santo era stato sottratto il mento – non la lingua – di Sant’Antonio. Ma tengo a sottolineare che si è trattato di un semplice spunto.

Come d’altronde il mondo del rugby, uno sport popolare in Veneto, che è animato da storie, figure mitiche, racconti. Ciò che voglio raccontare è quell’umanità che, forse per mancanza di furbizia, «non ce la fa», ma possiede una sua grazia. Questo mi sembrava un punto di partenza interessante per osservare un luogo che giornali e televisione definiscono un perfetto laboratorio economico

Come mai hai deciso di tornare a Padova, nel tuo mondo, per raccontare questa storia?

Questo è il mio teatrino: la lingua, il clima, il paesaggio, l’umanità mi appartengono. Preferisco lavorare su questo territorio: mi viene più facile immaginare le storie. Se uno racconta la sua realtà è perché la conosce e sente di poterne parlare agli altri.

Antonio Albanese, ritieni questo Nord diverso dal tuo?

Non molto: io sono nato a Lecco, una zona altrettanto ricca. E le intenzioni sono pressoché identiche. Io sono figlio dell’immigrazione, amo e odio nello stesso tempo il Nord e credo che sia importante raccontarlo, nel bene e nel male.

Fabrizio Bentivoglio, la tua voce fuori campo ci accompagna per tutto il film con forte cadenza dialettale: cosa ne pensi di questo mondo?

Insieme a Carlo ho cercato di respirare le atmosfere, gli odori, i sapori e la musica. La voce fuori campo è come un personaggio, e quindi andava preparata con cura. Altrimenti avrebbe potuto distogliere l’attenzione invece che aiutare lo spettatore a concentrarsi sul racconto.

Parlate della voce fuori campo come di un altro personaggio, potete spiegarci meglio?
La voce fuori campo ha una funzione di controcanto: tiene un altro passo e introduce un altro stato d’animo. Il film è la storia di una guarigione:

Willy è precipitato, ha perso se stesso e non riesce più a comunicare con facilità. Quando recupera la lingua, la voce acquista una funzione affabulatoria e introduce un nuovo personaggio:

un nuovo Willy che ha finalmente ritrovato se stesso. Non si tratta di una voce fuori campo aggiuntiva, non ha una funzione esplicativa. Si aggiunge al film con ostinazione, come un suono, una musica. E ha anche la funzione di controbilanciare i toni: questo è un film ironico, ma con un fondo amaro.

Come ti sei confrontato, in questo caso, con la tradizione della commedia all’italiana?
Penso che la commedia italiana faccia parte del nostro Dna. Ho semplicemente cercato di raccontare una storia di oggi, usando elementi semplici e tradizionali: il nostro patrimonio storico.

(a cura di giorgia brianzoli)

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