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Berlusconi: grande imprenditore con soldi opachi /2

Con l’assunzione della presidenza della Fininvest nel 1979 Berlusconi inaugura un nuovo decennio, fatto principalmente di scalate verticali, contrasti giudiziari e debiti, tanti debiti.

Berlusconi grande imprenditore, ma con soldi opachi.

In parallelo alla costruzione della matrioska societaria di fiduciarie, su cui ancora non si è detto tutto, anzi, si è detto il meno, il Cavaliere si muove nel campo dell’editoria e soprattutto delle telecomunicazioni.

Il decennio degli anni ’80 prosegue su questo duplice binario, finanziario-mediatico, che va a implementare il binomio edilizia-finanza della precedente decade che stava dando i propri concreti risultati con l’edificazione di Milano 2 e 3. Una delle ultime fatiche in campo immobiliare è la costituzione della Idra Immobiliare spa, che a tutt’oggi gestisce le proprietà del defunto premier, e nasce a Roma nel 1980: la prima acquisizione sarà la Villa di Arcore a prezzi scontatissimi, ma questa è una vicenda per quanto grigia (il caso Casati Stampa) di minor rilievo.

L’ingresso nel mondo dei media, il Decreto Berlusconi e Publitalia

Come già si diceva, nel decennio 70-80 Silvio aveva cominciato a sondare il terreno della comunicazione: editoria e soprattutto televisione. Ai nuovi residenti dei quartieri Milano 2 e 3 l’ex patron del Milan offriva sin dal 76 la possibilità di avere la tv via cavo, con Telemilano, emittente che egli aveva comprato due anni prima dall’imprenditore Giacomo Properzj. Ma il business aumenta vertiginosamente negli anni successivi. La prima creatura televisiva di Berlusconi, come tutti sanno, è Canale 5, società che sostanzialmente sostituisce Telemilano ottenendo una copertura su tutto il territorio nazionale con 10 emittenti.

Ricordano gli alfieri della neo informazione di quegli anni gli stratagemmi utilizzati per aggirare il divieto di trasmissione nazionale per i privati, che comprendevano le famose differite, rimandate in onda in contemporanea da vari emittenti locali come se fosse un unico canale, utilizzando cassette preregistrate.

Subito dopo la fondazione di Canale 5

Subito dopo la fondazione di Canale 5, Berlusconi punta forte sulla televisione acquistando Italia 1 dall’editore Edilio Rusconi nell’82 e Rete 4 nel 1984 dal gruppo editoriale Mondadori, in quella che sarà una vicenda destinata a lunghe ripercussioni. Fin qui, nulla di male a ogni buon conto, anche se, restava illegale trasmettere sul territorio nazionale. in co Dovette infatti intervenire Craxi con il famoso “Decreto Berlusconi” per sbloccare la situazione creata da tre pretori che avevano oscurato la rete e permettere al Cavaliere di riavere le proprie reti in chiaro.

Il perché è noto a tutti: Berlusconi finanziava

Il perché è noto a tutti: Berlusconi finanziava i socialisti con una montagna di soldi, sulla cui origine si è già detto. Appena un anno prima, nell’83, con il blitz di San Valentino la finanza e i carabinieri facevano strage dei “colletti bianchi” della mafia: guarda caso la più esposta era Banca Rasini, ma lo avevamo già anticipato.

Ad alimentare il circuito televisivo nazionale ci pensa la concessionaria pubblicitaria Publitalia ’80, fondata da Berlusconi nell’80 e subito diretta da Marcello Dell’Utri: più si allarga il giro, più aumentano gli introiti, più aumentano le speseche le aziende impegnano in pubblicità.

Infatti, il Decreto Berlusconi apre la strada alla scalata europea. Silvio acquista emittenti in Francia, Germania e Spagna: di per sé gli affari non saranno particolarmente fruttuosi e l’unico che ad oggi è ancora attivo, TeleCinco nel Paese spagnolo, finirà al centro di un procedimento giudiziario molto travagliato.

Nondimeno, la liberalizzazione seguita a quest’atto legislativo

Nondimeno, la liberalizzazione seguita a quest’atto legislativo fa lievitare i profitti del comparto pubblicitario: è la stagione delle operazioni a rischio (premio) e delle fatture “anticipate”. I soldi entrano ma soprattutto il fatturato si gonfia e tutti ne vogliono un pezzo. Fonti dell’epoca (con certezza nell’86-87), cioè che all’epoca facevano affari con Publitalia, ricordano bene il meccanismo: da una parte si scaricano costi dall’altro si gonfiano i ricavi, il più classico dei do ut des.

Allora vengono inquisiti i principali manager di Pubblitalia che, con aziende personali,pagavano “tangenti”ai manager della aziende che investivavano in pubblicità,tra questi Urbano Cairo che patteggio’ in un processo a 19 mesi

 

La Fininvest Group B, la finanza malata

Eppure il fulcro principale attorno a cui la magistratura indagherà è la cosiddetta Fininvest Group B, una realtà parallela ancora più oscura di quanto non fosse già la Fininvest “A” con le sue 38 holding. Si tratta di un «sistema di oltre 60 società domiciliate nei paradisi fiscali. È il «comparto riservato» del gruppo Fininvest, la «Fininvest Group B – very discreet».

Nel frattempo, 1993, è stata creata Mediaset, la sub-holding di Canale5, Rete4 e Italia1: al vertice Fedele–nomen omen–Confalonieri. Berlusconi infatti si ritirò subito dalle cariche per mantenere le sole quote azionarie: l’anno successivo Mediaset diviene una società per azioni.

Il problema è che nel 1993 la Fininvest è oberata dai debiti: nell’ottobre di quell’anno viene “commissariata” dalle banche italiane, esposte per cifre lunari su una società che ha un indebitamento di quasi 4.000 miliardi. Il virgolettato è d’obbligo in quanto ci si riferisce alla scelta di nominare Francesco, Kaiser-Franz, Tatò amministratore delegato: l’uomo dei grandi tagli. Fininvest fino a quel momento aveva tirato a campare grazie a Publitalia e alle entrate della Standa, principale fonte di liquidità del gruppo.

Nel frattempo, le scatole vuote della Fininvest Group B

Nel frattempo, le scatole vuote della Fininvest Group B si riempivano di contanti grazie al meccanismo truccato dei diritti televisivi, comprati, venduti e ricomprati al rialzo un’infinita serie di volte. Questo vortice di compravendite nascosto impreziosisce Mediaset–controllata al 72% dalla stessa Fininvest–che diventa rapidamente il “gioiello” di famiglia: infatti, la natura patrimoniale del gruppo è determinata proprio dal valore dei diritti televisivi, che nel tempo aumenta vertiginosamente. Ma se il costo nominale è una cosa, la differenza tra il costo reale e quello di rivendita finisce nei meandri delle decine di controllate occulte: parliamo di fondi neri per un totale 1.100 miliardi di lire.

Dal canto suo Mediaset deve rapidamente essere quotata in borsa

Dal canto suo Mediaset deve rapidamente essere quotata in borsa altrimenti la Fininvest affonda: siamo nel 1996. Nei 3 anni precedenti Tatò ha recuperato crediti quotando Mondadori e Mediolanum, racimolando i fondi da Mediobanca e Cassa di risparmio di Roma, tagliato costi di produzione e personale. Ma chiaramente non basta.

Mediaset invece possiede diritti per un controvalore stimato di 2.000 miliardi. È il capolavoro della finanza “legale”, con solide basi fantasma che permette a Fininvest non solo di sopravvivere ma di riprendere a correre anche nel terreno scoperto. Lo stesso anno partono le indagini che porteranno all’arresto dell’avvocato inglese David Mills, che gestiva molte delle società estere di Fininvest.

Ma il più era stato fatto, ed era incredibilmente passato inosservato allo scandalo che travolse la politica italiana nel 1992-93, ovvero Mani Pulite. L’attività più intensa della Fininvest Group B si concentra proprio tra 89 e 91: tanto per citare un’operazione su tutte, lo scandalo della All Iberian che costringe Craxi all’esilio e poi il resto, come si suol dire, è storia.

Editore: Alessandro Dalai

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