È morto Berlusconi
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È morto Berlusconi. Aveva 86 anni

È morto Berlusconi: l’ex Presidente del Consiglio si è spento stamane alle 9:32 all’ospedale San Raffaele di Milano, dove era ricoverato da venerdì 9 giugno.

È morto Berlusconi. Aveva 86 anni

“Morto un Papa, se ne fa un altro” indica il senso comune, ma di Berlusconi non ce ne sarà un altro. Classe 1936, una vita che è già divenuta materiale per film e documentari, una vicenda personale capace di raggiungere parossismi drammatici che in realtà, neppure il miglior cinema riesce spesso a ispirare.

L’isteria mediatica che ogni sua uscita suscitava è il metro impietoso con cui si può definire l’importanza del Cavaliere nel panorama socio-politico italiano: fino all’ultimo giorno, la Nazione è stata tenuta informata di ogni singolo momento e travaglio.

È indubbiamente, il figliol prodigo della società della comunicazione, ed ora che è morto ritorna a casa, nella dimensione ‘eterea’ dove se ne parlerà per sempre e come sempre se ne diranno di tutti i colori, salse e gusti. D’altronde, di poche figure si può dire che abbiano giocato un ruolo così di primo piano nella vita di milioni di persone, provocando sempre reazioni forti, di amore o di odio.

Il Padrino del neoliberismo – il Presidente che va a putt*ne, però, menomale che Silvio c’è: le due grandi epoche della propria carriera politica, gli inizi e la fine, tenuti assieme da un zoccolo duro intransigente con sé stesso nel non vacillare, non mettersi in dubbio e non domandare mai, fino all’ultimo momento.

Gente che ha ammirato e creduto al Cavaliere fino a scordarsi che Il Cavaliere, tante volte, ha preso in giro tutti, con fare sornione e pacata maleducazione.

È stato bravo, tanto, a tenere sempre il Paese sulle spine, in tensione per una promessa rivoluzione, nell’attesa messianica dell’uomo che doveva trasformare l’Italia e che invece ha trasformato solo la politica italiana, trovando sempre un colpevole cui imputare i propri ritardi:

la riforma giudiziaria è scaduta nella triste sequela di leggi ad personam, la riforma costituzionale è stata stralciata dagli stessi concittadini, la rivoluzione liberale è stata solo un miraggio per milioni di italiani ed una concreta realtà per pochi Paperoni, già intimi, già ricchi.

Eppure le «storie», le narrazione di queste rivoluzioni sospese sono raccontate con maestria professionale: una dote innata, soprattutto considerando quanto ignorante fosse Berlusconi,

il parvenu dell’editoria che non riusciva a pronunciare correttamente un autore o un titolo straniero, come ricordano testimoni della stagione in cui Einaudi acquisì i diritti per la Biblioteca de la Pléiade dalla Gallimard, tramite Elemond, qualche anno prima che confluisse in Mondadori.

Infatti, Carlo de Benedetti non smetterà mai di rimarcarlo: Berlusconi è un grandissimo bugiardo. Mentiva sempre o quasi nelle “trattative di mercato”, che amava condurre attorno a un tavolo, anzi con i piedi sotto al tavolo. Se ne accorse ad esempio D’Alema quando il Cavaliere sbriciolò il “patto della crostata” dalla notte al mattino facendogli perdere la maggioranza e il governo.

Dalla notte al mattino è in effetti il lasso di tempo in cui Berlusconi surclassava i suoi avversari: si potrebbe definire un nottambulo, nella sua incrollabile dedizione al successo è stato stacanovista ai limiti del burnout e poi gli piacevano tanto le donne, e le feste vengono meglio col buio, lo sanno anche i verginelli di sinistra.

Di colpi geniali, Il venditore ne ha avuti molti: ma il protagonista della biografia di Giuseppe Fiori ha fatto l’affare della vita acquistando il Milan. Con esso, ha comprato milioni di italiani.

Posso assicurare per esperienza diretta e personale che una brava persona di mia conoscenza, che ha fatto per una vita un lavoro umile e che non ha avuto l’opportunità di formarsi oltre le elementari ha votato Forza Italia ogni volta che ha potuto solo perché il Milan era la gioia della sua vita. E quando dopo lavoro tornava a casa, il televisore era già sintonizzato su SportMediaset.

La rivoluzione catodica è forse il suo lascito più grande e crudele, anche se, vale in questo caso la logica per cui se non lo avesse fatto lui qualcun altro ci avrebbe pensato comunque: ha solamente agito da Caronte mediatico nel traghettare il pubblico dalla paleo alla neo televisione, per utilizzare i termini del grande Umberto Eco.

La portata di questo cambiamento epocale è stata sottolineata con forza un po’ da tutti e non è questo il luogo adatto per definirne il segno.

L’altro grande “giocattolo rotto” che dobbiamo aggiustare è il populismo, di cui a ben vedere Silvio è stato progenitore e proprietario esclusivo per un lasso considerevole di tempo.

Nel suo egoismo non ha voluto mai indicare un proprio successore, tant’è che negli anni molti fedelissimi gli hanno voltato le spalle, avendo capito che non c’era modo di sedersi alla destra del re: nemmeno per i propri figli.

Quindi la sua eredità politica è stata raccolta da altri “uomini del popolo”, vagamente illuminati dalla sua aurea di benevolenza, che hanno prosperato all’ombra del suo declino acquisendo via via forza in un rapporto mimetico e parassitario fatto di promesse, sparate, complotti e battute.

Irriconoscenti: Berlusconi lo sapeva, e quest’etichetta verrà un giorno utilizzata come pietra angolare per definire i successi o meno, della neo premier Giorgia Meloni, ma anche di altri che ora piangono al suo capezzale.

Indipendentemente da come lo si ricordi, comunque il mondo intero saluta The Showman– come titola la voce della Grande Mela: il New York Times coglie in una parola l’essenza dell’uomo che ha congiunto la società dello spettacolo a quella della comunicazione, stando sempre in prima pagina e quasi sempre con il sorriso.

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