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Immunità innata al Covid: c’è davvero chi non si contagerà mai, ecco perché

In cosa consiste l’immunità innata al Covid?

Dopo due anni di pandemia c’è ancora chi è riuscito a non contrarre il virus. Una parte di queste persone potrebbe infatti avere un’immunità innata al Covid. Si tratta di una questione di genetica: per una serie di fattori c’è chi è meno predisposto al contagio.

Da quando è stato scoperto il nuovo ceppo della Sars CoV-2, la scienza e la ricerca hanno fatto passi da gigante in questo senso. I vaccini, ad esempio, sono già una barriera importante soprattutto per i sintomi più gravi. Allo stesso momento, di fronte all’evidenza di una forma di immunità naturale, si sta pensando di far sì che questa possa diventare un ‘farmaco‘. Ecco cosa si è scoperto ad oggi.

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L’immunità innata al Covid è un fattore genetico

È la nostra difesa più antica e ci accompagna da quando veniamo al mondo. Ma quando parliamo di immunità genetica, che cosa intendiamo? Il professore Giovanni Di Perri, responsabile del Reparto Malattie Infettive all’Amedeo di Savoia di Torino, ha dato la risposta a questa domanda. «È qualcosa che viene attivato dalle nostre difese – ha spiegato – e di cui disponiamo tutti. Accade, poi, che questa protezione sia meno veloce di altre, permettendo alla malattia di prendere il sopravvento».

Dunque, l’immunità innata non ci difende tutti allo stesso modo. Per questo non è sufficiente a proteggerci. Ma, come spiega il professore, «è evidente che ci sono persone del tutto refrattarie a questo virus».

Lo studio: trasformare l’immunità innata in un farmaco è possibile?

Tra i tanti studi scientifici, una particolare scoperta è stata pubblicata da Matteo Stravalaci, ricercatore presso l’istituto Humanitas, sulla rivista Nature Immunology. La ricerca è stata realizzata anche dalla ricercatrice del San Raffaele Isabel Pagani e un team di scienziati coordinati da Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas.

Lo studio riguarda, appunto, l’immunità innata, che sembra fare la sua parte contro il Covid e le varianti, Omicron compresa. Mantovani ha quindi spiegato i risultati della loro ricerca. «Anni fa – racconta – abbiamo individuato dei geni che fanno parte di una famiglia di antenati degli anticorpi. Ci siamo concentrati sull’interazione tra questi e il Covid, scoprendo che una di queste molecole, la Mannose Binding Lectin, si lega alla proteina Spike del virus e lo blocca. Essa sarebbe anche in grado di riconoscere Omicron, oltre alle classiche varianti come Delta».

I ricercatori stanno attualmente lavorando per ottimizzare questa molecola per capire se potrebbe essere trasformata in un farmaco. «La strada è ancora lunga – spiega Mantovani – ma è importante cercare altre armi contro il virus. Tra l’altro, Mbl è già stata infusa da altri clinici e ricercatori come terapia in soggetti con completo deficit genetico ed è stata ben tollerata».

 

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Editor: Susanna Bosio

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