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Interviste

Mario Calabresi e il “morbo dimenticato”, l’intervista: il CEO di Chora Media parla del podcast “Un filo blu”

A distanza di pochi giorni dall’uscita di Un filo blu, il podcast di Chora Media e The Global Fund per la sensibilizzazione alla lotta alla tubercolosi, abbiamo incontrato Mario Calabresi – voce narrante e CEO di Chora Media – per un approfondimento sul tema.

Mario Calabresi, Un filo blu e l’urgenza delle pandemie silenti: l’intervista completa al CEO di Chora Media su MAM-e.it

A fronte di secoli di storia, centinaia di contagi ogni anno e un decorso storico-culturale che l’ha portata a restare spina latente nel fianco dell’umanità, la tubercolosi è oggi il morbo dimenticato che il Covid-19 ha contribuito a mettere in secondo piano. Ciononostante, Mario Calabresi e The Global Fund insistono nel rivendicare l’urgenza della lotta alla TBC, una piaga alla quale forse siamo ormai abituati, ma che continua tuttora a mietere vittime. Ce ne parla Mario Calabresi nella seguente intervista. 

Nel frattempo, scopri tutto sul podcast di Mario Calabresi per Chora Media e The Global Fund, Un filo blu, qui: Un filo blu, il podcast di The Global Fund e Chora Media: la tubercolosi tra storia, letteratura e medicina

Mario Calabresi racconta il dietro le quinte del podcast Un filo blu: l’intervista a MAM-e

Ascoltare il podcast Il filo blu, uscito lo scorso 16 giugno e disponibile su tutte le piattaforme, è un modo per destarsi da un caso di assuefazione generale, che ci ha portato a dimenticare – o, almeno, a sottovalutare – la tubercolosi come malattia potenzialmente fataleUn filo blu, però, non è il primo podcast nato dalla collaborazione tra Chora Media e The Global Fund (organizzazione internazionale per la lotta all’HIV, alla TBC e alla malaria). Il primo prodotto di questa partnership è stato Un filo rosso, dedicato più specificatamente all’HIV. 

La prima domanda per Mario Calabresi, dunque, non può che essere questa: come è nata la collaborazione con The Global Fund? Dobbiamo aspettarci un terzo podcast (magari sulla malaria) da aggiungere alla serie inaugurata da Un filo rosso e proseguita con Un filo blu?

«Queste due serie di podcast nascono dalla volontà di The Global Fund di svolgere un lavoro di racconto e sensibilizzazione sui quarant’anni dal riconoscimento ufficiale del virus dell’AIDS e perciò dal momento in cui, in quanto tale, si è iniziato a parlarne ufficialmente», esordisce Mario Calabresi, CEO di Chora Media e voce narrante di Un filo blu. 

«L’obiettivo di The Global Fund era non tanto fare un lavoro storico, quanto sensibilizzare l’opinione pubblica, sottolineando come l’AIDS non fosse una malattia finita, scomparsa. La scelta del podcast è stata legata alla volontà di comunicare con le nuove generazioni. Dopotutto, il podcast ha un pubblico che per la maggior parte ha un’età compresa tra i 20 e i 40 anni. L’idea era proprio cercare di creare un racconto che potesse incuriosire e allo stesso tempo far riflettere. 

Il progetto, dunque, è nato con un Un filo rosso, il primo podcast per The Global Fund dedicato all’HIV. E Un filo blu?

Il secondo podcast è stato una conseguenza al successo del primo. Un filo rosso, infatti, ha avuto una buona risposta. Così, in un certo senso, è venuto quasi naturale pensare a una seconda serie, che insistesse invece sul secondo dei problemi di cui il Global Fund si occupa, ossia la TBC. Questa volta, però, abbiamo deciso di raccontare la malattia in due puntate, un po’ più lunghe delle precedenti, partendo dal punto di vista storico-culturale. 

In effetti, la storia della tubercolosi – una malattia silente e antichissima – ha intersecato gli ambiti culturali più diversi, dalla medicina alla letteratura, alla musica e alla scienza. 

Certamente. La tubercolosi è stata il male della rivoluzione industriale, oltre ad essere una delle malattie più antiche del mondo, di cui si è trovata traccia persino in resti preistorici. È stata la malattia tanto degli emarginati quanto degli artisti dell’Ottocento. Ne parla La montagna incantata di Thomas Mann, La Traviata di Giuseppe Verdi e moltissime altre opere. Ha colpito musicisti, intellettuali, poeti… è stata davvero la malattia di quel tempo. 

Ciò non significa, però, che sia scomparsa. 

No, anzi. È una malattia che grazie agli antibiotici abbiamo considerato sconfitta in Occidente, sbagliandoci di grosso. Oggi, nel 2022, la tubercolosi provoca un milione e mezzo di morti l’anno. Prima dell’arrivo del Covid – e quindi prima di questa pandemia che ci ha colpito in questi due anni – era la prima causa di morte.

Un male invisibile che colpisce gli invisibili, che la sua natura subdola ci ha spinto a dimenticare, ignorare o almeno sottovalutare. Direbbe che il trattamento riservato alla TBC dalla storia sia metafora dell’indifferenza che ci spinge a sottovalutare questioni che, per quanto urgenti, non avendo ricadute immediate nell’hic et nunc finiscono inevitabilmente in secondo piano?

La salvaguardia dell’ambiente, il riscaldamento globale, la guerra… gli esempi sarebbero infiniti. Persino il Covid, dopo due anni di attenzione mediatica non-stop, sta passando di moda.

È evidente che c’è una rimozione. Noi lo vediamo in tutto. Se pensiamo che abbiamo parlato di pandemia per due anni…  oggi il numero dei contagi è ancora molto alto, ma non ne parla nessuno. Nello stesso modo la guerra continua, ma in prima pagina dei giornali c’è la guerra interna ai 5 Stelle. Dopotutto, abbiamo avuto la guerra in Siria per anni, ma se ne parlava solo saltuariamente. Questo perché, purtroppo, l’effetto assuefazione è sempre alto.

Quello che abbiamo cercato di fare con Un filo rosso e Un filo blu è stato raccontare quelli che non sono temi da prima pagina, ma non perché non siano attuali. Non sono da prima pagina perché esistono da troppo tempo. Temi che, quindi, non sono di attualità del giorno, ma che continuano ad essere di attualità per il mondo, per le persone. Persone che, in questo caso, continuano a perdere la vita ogni anno.

 

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«E che per la maggior parte sono persone povere, del terzo mondo» si inserisce Alessandro Dalai, direttore ed editore di MAM-e. «Per quello non finiscono più in prima pagina».

«Esatto», concorda Mario Calabresi. «Nella serie che abbiamo fatto l’anno scorso, il direttore del Global Fund Peter Sands diceva che una malattia è considerata pandemia quando colpisce tutto il mondo compreso l’Occidente, mentre la declassiamo ad epidemia quando non è vi più così virulenta. Infine, la consideriamo endemica quando è rimasta attiva solo nel Terzo Mondo. E a quel punto, pazienza, non ci riguarda più. 

Alessandro Dalai: «Ricordo che ho pubblicato un libro molto bello, quello del quasi Premio Nobel Peter Duesberg, AIDS – Un virus inventato, che arrivava proprio sul tema della ricorrenza di queste malattie pandemiche nel corso dell’Otto e del Novecento. Il ragionamento era proprio questo: queste malattie non scompaiono. Scompaiono solo dalle prime pagine dei giornali e dall’attenzione dei media». 

Tuttavia, il “mal sottile” non è stato solo il male degli indigenti. Nell’Ottocento, infatti, la tisi era considerato la malattia degli artisti per eccellenza. Offrendo ai malati un lungo periodo di sospensione tra la vita e la morte, la tubercolosi ha finito per essere elevata a vero e proprio status symbol d’elezione e ispirazione poetica, uno spazio privilegiato per riflettere sull’esistenza. Secondo lei, Mario Calabresi, un simile fenomeno di mitizzazione letteraria sarebbe possibile oggi, per esempio con il Covid-19?

No, penso assolutamente no. Anzi, la mia domanda è: ritroveremo la pandemia da Covid nei film e nei libri? Secondo me, poco. Così come non abbiamo trovato per nulla l’influenza spagnola nel 1918-19 nelle opere successive. Io credo che il motivo di questa differenza stia nel fatto che la tubercolosi è una malattia che dava un lungo periodo anche di riflessione e di vita con la malattia.

Il Covid, invece, è una malattia che ha devastato le esistenze nel giro di pochissimo. In primis, quindi, la gente se può tornare a pensare ad altro lo fa volentieri. In secondo luogo, non ne può più di sentirne parlare. E terzo, perché purtroppo quelli che si sono ammalati gravemente o che sono morti lo hanno fatto in solitudine, distanti da tutti e non comunicando con nessuno.

«Sono un ottimista e, pur amando la memoria e la ricostruzione del passato, non vivo con la testa rivolta all’indietro. Sono convinto che il racconto dei fatti del mondo, dei motivi che li hanno causati e delle loro conseguenze, sia più vivo che mai, ma che le forme di questo racconto vadano aggiornate». Così si legge sul suo sito web personale. È per questo che ha scelto di fondare Chora Media e sfruttare un format smart come quello del podcast per sensibilizzare sui temi proposti da The Global Fund?

Sì, esattamente per questo. Io sono convinto che lo strumento tradizionale del giornale da tempo abbia una difficoltà crescente. E, soprattutto, penso che ormai parli solamente a una parte della popolazione. Il fatto che si dica che ai giovani non interessano la politica, le storie dal mondo, gli esteri… il problema è che non interessano così come sono fatte oggi.

Se invece si è capaci di costruire dei racconti, delle storie che tocchino la vita delle persone – perciò si parla sì di politica, ma si parla di temi che hanno avuto uno spazio ampio nel dibattito giovanile, come il DDL Zan – le cose cambiano. Per esempio, noi abbiamo raccontato le storie delle elezioni presidenziali con Marco Damilano e tantissimi giovani hanno seguito il podcast: si sono sfiorati i 400 mila ascolti.

Oppure, prendiamo Cecilia Sala, una ragazza giovane che ogni giorno racconta la storia dal mondo ed è stata sei settimane in Ucraina. Ci sono più di 20 mila persone ventenni che la ascoltano ogni giorno. Questo ci dice che è un problema di formati e di mezzi narrativi, che vanno aggiornati.  

Dopo la recente acquisizione di Will Media, poi, la community di Chora Media si è allargata fino a comprendere oltre 2 milioni di persone. È una buona audience alla quale far arrivare il messaggio di The Global Fund. 

Sì, meno male. Speriamo. 

Conclusione: finisce qui l’intervista con Mario Calabresi

Chiudiamo – ringraziando di cuore il CEO di Chora Media Mario Calabresi per l’intervista e la disponibilità – con una citazione della definizione d’autore del vocabolario della lingua italiana Zingarelli 2016, stesa dallo stesso Calabresi. «La curiosità è la migliore vaccinazione contro il pessimismo, l’accidia e la noia, le malattie più pericolose del nostro tempo». Tubercolosi, TBC, Covid. In fondo, sono tutte malattie curabili. Non sarà l’indifferenza la malattia più letale del nostro secolo? 

 

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