Una geopolitica finanziaria
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Una geopolitica finanziaria per il 2023

Una geopolitica della finanza si tratteggia controluce alle torbide vicende bancarie delle ultime settimane. Il dato principe dell’intera vicenda risiede nel turmoil che il mercato obbligazionario si trova ad affrontare.

Una geopolitica finanziaria

Move changers. La FED parlerà domani e c’è grande attesa per capire se Powell manterrà la rotta tracciata aumentando i tassi di un ulteriore 0,25 o se, a sorpresa, deciderà di mantenerli invariati.

Il progressivo rialzo dei rendimenti dei treasury in conseguenza dell’altrettanto progressivo rialzo dei tassi è stato violentemente squassato dalla crisi degli istituti finanziari, con un crollo di 100bp per gli yelds degli U.S. Note a 2 anni nel mezzo del caos SVB-Silvergate Bank come riportato in precedenza dalla CNBC. Abbiamo anche già scritto dei movimenti forti del MOVE. Così come abbiamo accennato alle ominose previsioni di Kiyosaki.

Mercato obbligazionario in fermento

A farci le spese sono sempre gli azionisti si diceva una volta. Gli ultimi casi sembrano invece testimoniare il contrario. Anzitutto, per arginare la crisi made in California il regolatore-legislatore in casa yankee ha deciso di accettare le obbligazioni governative come collaterale a valore di libro e non di mercato, per un anno di tempo, come sottolineava Giavazzi per il Corriere all’indomani dell’accaduto. In Svizzera, invece, la soluzione più drastica: sono stati azzerati 16 mld di franchi di controvalore delle obbligazioni Additional Tier-1 investite in Credit Suisse.

Si tratta in realtà di obbligazioni subordinate riservate ai soli investitori professionali, in particolare, istituzionali. Non sono mai convertibili in capitale e tuttavia ciò non toglie che così facendo si allontaneranno gli investitori dal comprare future emissioni, rimettendo chi in necessità alla mercé del mercato. Per non togliere fiducia ai consumatori la si toglie agli istituti di credito. Il che di per sé potrebbe non essere un fattore malvagio. Ma una crisi dell’obbligazionario potrebbe essere più temibile ancora di una crisi del mondo equity. Non su tutti i settori, però.

Una geopolitica finanziaria

Una geopolitica finanziaria

Una geopolitica finanziaria europea

Si diceva di una geopolitica finanziaria, per due ordini di ragioni. In primis, per il chiaro messaggio che il sacrificio delle obbligazioni long term At1 di cui sopra viene fatto sull’altare degli azionisti di maggioranza. Nell’ordine abbiamo: Saudi National Bank (9,88%), Quatar Holding(5,03%), Dodge & Cox (4,99%), Olayan Group (4,93%), Harris Associates (4,85%), Black Rock (4,53%), Silcehester International (3,03%). Arabia Saudita in testa, dunque, seguita a stretto giro dai cugini quatarioti, e da ben 3 società d’investimento statunitensi mentre Olayan Group ha sede in Lichtestein e Silcehester Int. Inv. in Regno Unito.

La crisi è stata scatenata dalle dichiarazioni dell’azionista saudita che alla fine della trafila ha comunque perso circa l’80% dell’investimento iniziale. Ma è rimasto, ed è ciò che più conta per l’istituto elvetico; cosa che invece non sarebbe successa se l’intero capitale fosse andato in fumo. Ma nello scacchiere di una geopolitica finanziaria non si può mai tralasciare il ruolo degli yankees. Sappiamo infatti che gli USA, per mezzo del Segretario al Tesoro Ms. Yellen, hanno “monitorato” attentamente l’evolversi della vicenda. Traducendo il diplomatichese, sono stati col fiato sul collo alla BNS fino al risolversi della vicenda il cui epilogo salva, pure se parzialmente, anche gli investimenti delle società di stanza oltremare.

Per contro, le principali istituzioni finanziarie europee si sono affrettate a rassicurare gli obbligazionisti con riguardo a quella che è la normativa in materia. In un joint statement la Autorità Bancaria Europa (EBA), la BCE e il Comitato di Risoluzione Unico (Single Resolution Board) si sono premurate di ribadire una volta di più la precedenza– nella “gerarchia dei salvati”–riservata agli obbligazionisti.

Dunque, prima che questa tipologia di bond possa essere convertita in azioni o trasformata in scrittura contabile dal valore nominale è necessario che le perdite abbiano già “mangiato” tutto il capitale dei poveri azionisti. Si tratta di una nota particolarmente pregnante in quanto il mercato delle obbligazioni AT1 è valutato in circa 275 miliardi di dollari e come riporta l’agenzia Reuters è «dominato» dagli istituti creditizi del Vecchio Continente.

Una geopolitica finanziaria

Una geopolitica finanziaria emergente

Concludiamo provando a lanciare uno sguardo che non si volga solo alle inquietudini diffuse ed ai rischi e timori paventati e possibili. Aprendo, dunque, anche alle opportunità, sulla carta, che un cambio del quadro macro economico possono realizzare. Al rafforzarsi del dollaro e al rialzo dei tassi d’interesse a soffrire sono le economie che hanno fatto incetta dei beni rifugio americani. La famosa crisi asiatica di fine millennio ha messo in guardia molte nazioni dal rischio di fare scorta esclusiva di beni USA.

Tuttavia non tutti hanno potuto seguire l’avviso. Il Financial Times ad ottobre 2022 delineava il seguente quadro: stava per concludersi un anno terribile per i detentori di obbligazioni dei cosiddetti mercati emergenti o in via di sviluppo, con ben 22 paesi a rischio default.

Sebbene al momento non ci siano segnali forti per un cambiamento della situazione, un segnale debole c’è stato. Quello spike nei prezzi dei bond che è corrisposto al maggior crollo dei rendimenti sui treasury dall’87 potrebbe riportare un po’ d’aria in quei paesi soffocati dal debito sovrano. Sempre ed esclusivamente se mr. Powell deciderà di allentare la stretta creditizia, cosa tutt’altro che scontata.

Un segnale viene anche dall’analisi grafica: dalla sovrapposizione tra DXY e tutti gli altri grafici che ritraggono l’andamento dei Treasuries (1,2, 5, 10, 30 year) si nota una discrepanza piuttosto evidente per due tipologie di beni che viaggiano spesso appaiati. Mentre il dollaro è sceso dai massimi registrati nel periodo 19-26 sett. 2022 in cui viaggiava su valori compresi tra 109 e 114 deprezzandosi significativamente, non altrettanto è avvenuto per i rendimenti degli strumenti di debito. Se quest’ultima tendenza verrà invertita i capitali stranieri potrebbero tornare a fluire nei mercati emergenti e non solo fuori da essi come avvenuto per tutto l’anno passato e per quest’inizio di 2023.

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